Non potevano esserci migliori e più icastiche immagini della contrapposizione fra Russia ed Europa oggi. A Mosca, sfilano le truppe, si celebra il passato, e la retorica del leader, unico autorizzato a parlare, è aggressiva e militarista. A Strasburgo, si dà la parola ai giovani che hanno partecipato alla Conferenza sul futuro del continente prima dei discorsi dei leader, che sono tre, e nel Parlamento sono rappresentate diverse anime politiche e ideologiche.
Il programma è quello di una società più giusta, inclusiva ed egualitaria, basata sullo Stato di diritto, capace di proteggere la salute dei cittadini e salvaguardare l’ambiente e i propri valori, secondo quanto enunciato da Emmanuel Macron. Ma, soprattutto, c’è una guerra a separare traumaticamente la Federazione e l’Unione. È l’invasione che Vladimir Putin ha avviato il 24 febbraio contro l’Ucraina, oggi candidata all’ingresso nella Ue (anche se ieri si è onestamente ammesso che ci vorranno anni per la piena adesione).
Il leader francese, presidente di turno a Bruxelles, ha ribadito che l’Europa non è in guerra con la Russia: sostiene Kiev nella sua resistenza, anche con le sanzioni e l’invio di mezzi militari. D’altra parte, il capo del Cremlino ha accusato la Nato di avere minacciato la Russia con l’avvicinamento all’Ucraina al punto di innescare la reazione difensiva armata. Con il probabile ingresso di Svezia e Finlandia, la Ue coincide quasi completamente con l’Alleanza Atlantica dove, ovviamente, a fare la differenza è la presenza americana. Risulta pertanto difficile non vedere una distanza che può anche apparire quasi incolmabile.
Ma non è cosi, non deve essere così. Dall’aula di Strasburgo sono, infatti, arrivate anche parole che riaprono al dialogo. «Non dobbiamo cedere alla tentazione dei revanscismi – ha detto Macron –. Domani avremo una pace da costruire e dovremo farlo con Ucraina e Russia attorno al tavolo. Ma questo non si farà né con l’esclusione reciproca, e nemmeno con l’umiliazione». Da Mosca i debolissimi echi a queste aperture stanno soprattutto nel non detto del presidente russo, il quale ha escluso un conflitto globale, ha questa volta evitato di nominare le armi di distruzione di massa e si è limitato a citare Donbass e Crimea, senza proclami né annunci di mobilitazioni generali. Questo non vuol ancora dire che l’Armata russa si fermerà nell’Est del Paese, consolidando le conquiste territoriali del 2014.
E purtroppo il conflitto non sembra avviato a una soluzione in tempi rapidi, mentre le sue conseguenze si vanno estendendo tragicamente in termini di vittime, di radicamento d’inimicizia e persino d’odio e di effetti economici nel Vecchio Continente e nel mondo, per la mancanza di approvvigionamenti di cereali in Africa e Asia. Resta quindi sul tavolo dell’Europa comunitaria il tentativo di far cessare una guerra di cui non è responsabile, ma che deve contribuire a portare a conclusione senza sacrificare l’Ucraina, prima vittima della crisi.
È quindi indiscutibile che a questo punto si debba saper dosare la pressione sulla Russia, in modo progressivo, con tutte le leve disponibili esclusa l’escalation militare. Non è la linea di Washington e Londra, ma l’Europa continentale è il terreno dello scontro e l’Unione ha il dovere di essere protagonista di una determinata ed efficace ricerca della giusta pace. Bisogna, perciò, lavorare a fondo per allargare gli spiragli di trattativa aperti, e ampliati nelle ultime ore dal presidente Zelensky nonostante l’algida rigidità dello zar Putin. È un compito arduo, e però sarebbe terribile rassegnarsi alla violenza insensata di una guerra che nessuno vuole perdere e nessuno può vincere, ma continua a fare strage.