C'eravamo già tutti rassegnati all’idea che lo sbocco delle grandi speranze di cambiamento sollevate dalle rivolte nordafricane dello scorso anno fosse il trionfo dell’islam politico. Ci sembrava un dato di fatto, altrettanto ovvio come l’alternarsi delle stagioni, che anche sulle rive del Nilo dopo la tumultuosa ed entusiasmante primavera araba arrivasse un grigio e ordinato autunno all’insegna della Fratellanza musulmana. Invece è tornata la protesta, sono ricomparsi i manifestanti a piazza Tahrir, e anche i violenti scontri con morti e feriti che ieri si sono registrati tra gli oppositori e i sostenitori del “nuovo Faraone” ci riportano alla mente i giorni concitati della rivolta contro Mubarak nel febbraio del 2011.Un déjà vu particolarmente inquietante per Mohammed Morsi, l’esponente dei Fratelli Musulmani che assumendo la guida del Paese si era proclamato “paladino della rivoluzione”. Nelle urne di giugno era stato votato anche da una buona parte del “popolo di piazza Tahrir” che non si riconosceva nelle sue idee ma era diffidente nei riguardi dell’altro candidato, Ahmed Shafiq, legato al vecchio regime. Un’apertura di credito cui era seguita quella dei governi occidentali, in primis gli Stati Uniti che hanno pubblicamente elogiato il leader del Cairo per la sua opera di mediazione nel conflitto tra Israele e Hamas.
Non sappiamo se Morsi si sia montato la testa o se, più semplicemente, abbia messo in atto un piano prestabilito da tempo. Sta di fatto che con la decisione di assumere i pieni poteri e poi con l’approvazione della bozza di Costituzione, votata in una notte da un’assemblea carente di legittimità in quanto priva dei membri laici e cristiani, il primo presidente egiziano eletto democraticamente si è trasformato in dittatore, in un leader autocratico che non deve rendere conto a nessuno e a cui tutti devono obbedienza e fedeltà.La flebile speranza che l’islam politico potesse andare a braccetto con la democrazia si è rivelata una tragica illusione. Già campioni d’ambiguità i Fratelli Musulmani hanno gettato la maschera rivelando il loro vero volto, autoritario e intollerante. In questo modo hanno costretto gli egiziani a interrogarsi su quale sia la loro identità, facendo riesplodere quelle rivendicazioni di libertà e dignità che avevano caratterizzato la rivolta di piazza Tahrir e che gli islamisti pensavano d’aver definitivamente tacitato assumendo il potere.E così sono tornati a farsi sentire i protagonisti di una rivoluzione che aveva una certa idea di uomo e di società, un’idea incompatibile con la nuova dittatura islamista. Sono stati incapaci di tradurla in un programma preciso, si sono divisi in gruppi politici a vantaggio del blocco compatto rappresentato dalla Fratellanza. Ma oggi si ritrovano uniti in un vasto fronte d’opposizione che comprende laici e cristiani copti, liberali e socialisti, associazioni per i diritti umani e movimenti delle donne. Al loro fianco ci sono giornalisti, insegnanti e magistrati, intere categorie professionali umiliate dai diktat presidenziali. Ma anche gli islamisti rinserrano le file, come si è visto nell’assemblea costituente dove i salafiti, sostenitori di un’applicazione rigida e integrale della "sharia", la legge coranica, hanno votato insieme con i Fratelli Musulmani.È una partita ad altissimo rischio quella che si sta giocando in queste ore in Egitto, con l’incubo di una repressione sanguinosa. L’unica soluzione ragionevole è un passo indietro di Morsi, un dignitoso compromesso con l’opposizione che vuole il ritorno alla legalità e alla democrazia. Ne sarà capace?