L'altra pace che la politica deve saper fare anche con sé
venerdì 4 novembre 2022

C’è una pace che invochiamo ogni giorno, da mesi, come l’acqua che davamo per scontata e che ha preso a scarseggiare. A tal punto ne sentiamo la necessità da non rassegnarci al suo sequestro a opera di chi non cessa di produrre ingiustizia perpetuando una guerra spaventosa. Per questo ci teniamo informati, cerchiamo di comprendere la realtà dei fatti, i torti consumati e subìti, di discernere la verità distinguendola dalla propaganda, per questo preghiamo, per questo alcuni non riescono a stare fermi e parteggiano per gli inermi, portano aiuto alle vittime, accolgono profughi, denunciano soprusi, si sgolano a spiegare cos’è in gioco davvero, e sono pronti a scendere in piazza.

Per questo è difficile far finta di nulla davanti a una pace che ci sta sfuggendo sotto gli occhi, anche a casa nostra, nel pubblico dibattito di un Paese che si scopre dilaniato tra parti spesso furiosamente ingaggiate le une contro le altre, impegnate a screditarsi, in un crescendo verbale che lascia esterrefatti. È l’ennesima ubriacatura del “noi” contro “loro”, sulle misure del dopo-Covid (si spera...) come sulla mano dura contro i rave party. Anche il nuovo assetto politico sembra insomma aver scatenato un’aggressività, già coltivata del resto in campagna elettorale, che si dispiega su tutti gli argomenti dell’agenda pubblica, viene alimentata da qualunque scelta del governo o critica delle opposizioni, mentre la realtà dei fatti (la sola che interessa davvero, e che sta a cuore agli italiani) progressivamente scompare sotto una nebbia di invettive. Intendiamoci: opinioni dissonanti e critiche, anche serrate, sono la sostanza stessa della democrazia, ma alla stringente condizione che restino saldamente agganciate alla consapevolezza che ogni idea in un senso o nella direzione opposta va argomentata con serietà, aderenza ai fatti e rispetto per chi la pensa diversamente. Quel che lascia attoniti è invece l’ormai quotidiano cannoneggiamento da una sponda all’altra, che spinge i protagonisti della mischia ad alzare il volume dei concetti e delle parole sino a perderne il controllo, tra slogan frusti, ricostruzioni diffamatorie e processi alle intenzioni sistematici.

Questo napalm sparso con irresponsabile leggerezza in settimane nelle quali il Paese intero attende invece di essere rassicurato sul suo stesso futuro minaccia di inquinare a lungo la stessa convivenza civile (e se non si arriva alla svelta a un disarmo bilaterale ne avremo presto le avvisaglie). Sul terreno della vita sociale vanno accumulandosi, giorno dopo giorno e nell’incoscienza di molti, la cenere del rancore, le macerie del risentimento, il veleno del sospetto, il fiele del pregiudizio. Un vaso di Pandora che si è spalancato non appena il Paese ha ritrovato un “governo politico”, come se le stesse forze che gli hanno dato vita così come quelle che lo avversano – insieme a cantori o detrattori mediatici delle une e delle altre – non fossero davvero in grado di padroneggiare la situazione. Sì, anche l’Italia ha bisogno di pace, mai come adesso.

Non si può perdere di vista l’opera condivisa alla quale la gente sa di dover metter mano ogni mattina, volendosi sentire incoraggiata a costruire e non a sgretolare, a coltivare speranza e fiducia, non a dubitare che qualcuno stia davvero pensando al domani di tutti. In Italia e in Europa è – dovrà essere – il tempo dei costruttori, di chi ripara gli strappi, sana i dissidi, rammenda le lacerazioni, immagina progetti che parlano la lingua della collettività, crea il terreno per dialogare e capirsi, per lavorare insieme con la forza di punti di vista differenti, ma a partire da obiettivi percepiti come necessari a tutti: la famiglia, il lavoro, la cura, l’istruzione, la vita, la cultura, l’ambiente. E su ognuno di questi capitoli il rispetto dell’altro. È il bene della comunità a nutrire la pace: saperlo riconoscere, cercare e tessere insieme, crescendo l’allergia a quel che lo fa perdere di vista, è il senso stesso della politica e la meta alla quale tende la vita civile, come per una forza irresistibile. Serve sottrarsi alla morsa incivile della guerra comunque ingaggiata e combattuta per essere sempre, e ovunque, capaci di fare pace.

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