mercoledì 10 maggio 2023
Il sistema italiano è stato a lungo un’eccellenza internazionale, il taglio delle risorse e il Covid hanno fatto detonare le criticità. Dal Ministero un piano ambizioso
La rianimazione Covid all'ospedale policlinico San Martino di Genova

La rianimazione Covid all'ospedale policlinico San Martino di Genova - Ansa

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Eravamo abituati a considerare la nostra sanità come un’eccellenza e la salute degli italiani come un valore fortemente tutelato. E certamente alcuni parametri continuano ad essere positivi: la nostra speranza di vita è ancora una delle migliori del pianeta (nel 2022 80,5 anni per gli uomini e 84,8 per le donne). Ed altri indicatori per i quali il nostro posizionamento internazionale è più che dignitoso sono quello della qualità e dell’impegno del personale, e quello delle reti informali di aiuto e cura. Ma la pandemia, con i suoi 25 milioni 500 mila casi, 188 mila morti e un impegno di 144 milioni di dosi di vaccino somministrate, ha evidenziato drammaticamente, e per molti versi peggiorato, tante lacune storiche, e ne ha provocate di nuove. Oggi possiamo dire che il sistema è messo alle strette tra la consapevolezza acquisita rispetto agli errori del passato e le nuove sfide della salute globale, e che la riattivazione di un’attenzione più matura al valore della salute, sia a livello sociale che a livello istituzionale, non basterà a risolvere le tante criticità, vecchie e nuove, se non si porrà mano decisamente all’aumento delle risorse ed alla realizzazione del principio di “Salute in tutte le politiche”.

Per quanto riguarda le risorse, i dati presentati dalla Corte dei Conti nella recente Audizione alle Commissioni Bilancio parlano chiaro: nel 2022 la spesa sanitaria è cresciuta del 2,9%, raggiungendo i 131,1 miliardi, ma con una discesa rispetto al Pil a poco più del 6,9%, molto al disotto dei valori (tra 8 e 9%) degli altri paesi. Tanto che, come segnala l’Istat, la spesa privata aggiuntiva a carico delle famiglie continua a crescere, ed ammontava nel 2021 a ben 36,5 miliardi. Ed altrettanto critica è la situazione del personale, in particolare infermieristico: secondo le stime mancano in Italia almeno 50 mila infermieri, il personale sanitario sta velocemente invecchiando e per quanto riguarda i medici preoccupano soprattutto i reparti di urgenza-emergenza (almeno mille unità mancanti), la medicina di base (scesa da 44 mila a 39 mila medici tra 2016 e 2021) e la fuga dagli ospedali (ben 2.886 nel solo 2021), per insopportabilità del carico di lavoro e del relativo stress. La situazione delle risorse impedisce evidentemente di porre rimedio ai vecchi mali della debolezza della medicina del territorio, delle liste di attesa per l’accesso alle prestazioni, e del mancato rispetto dell’universalismo e dell’equità territoriale, sociale e generazionale, previste dal nostro Ssn.

La pandemia ha caricato su di un sistema già sotto stress ulteriori problemi. Oltre alla mortalità degli anziani (nel solo 2021 63 mila decessi in più rispetto alla media 2015-2019, quasi tutti di anziani), abbiamo registrato il ritardo nella diagnosi e cura di altre patologie croniche e acute (si stima una contrazione degli interventi in oncologia del 50%); l’incremento delle patologie dell’area psichiatrica e psicologica (nell’ordine del 25-30%); la recrudescenza di fenomeni di abuso di sostanze nocive e di violenza interpersonale e personale; l’accentuarsi delle disparità nell’accesso alle cure e nel benessere psicofisico. La quota di persone che nel periodo pandemico hanno rinunciato a prestazioni sanitarie ritenute necessarie è quasi raddoppiata, passando dal 6,3% del 2019 al 9,6% del 2020 ed all’11,1% del 2021.

Gli esiti sociali di una simile situazione si misurano nell’aumento della povertà (tra 2019 e 2020 1 milione di nuovi poveri secondo Oxfam), e nel peggioramento della qualità e quantità di vita di anziani, malati cronici, bambini, su cui pesa anche l’indebolimento progressivo della rete di aiuti informali e di care-giving, su cui nel passato si è molto basata l’assistenza. Ma la pandemia ha anche messo a nudo il rapporto tra salute e ambiente, troppo a lungo trascurato, in particolare per quello che riguarda la perdita di biodiversità: più del 60% delle patologie infettive sono di origine animale, ed il 70% ha origine dagli ambienti selvaggi. Secondo l’Oms si stimano ogni anno a causa dell’inquinamento oltre 4 milioni di decessi prematuri nel mondo, e 30-40 mila in Italia e si prevede che entro il 2050 i cambiamenti climatici provocheranno tra 200 e 250 milioni di migranti.

Dallo stesso rapporto si segnala la gravità della cosiddetta antibiotico-resistenza, cui si associano più di 4 milioni di morti del 2019. Particolarmente grave è in Italia la situazione relativa agli incendi boschivi (ne 2021 49 incendi su 100 ettari, il numero più alto d’Europa) ed al caldo estremo (nel 2020 + 1,54° rispetto alla media 1961-1990), ed il Rapporto 2022 del Consiglio Superiore di Sanità documenta come le ondate di calore e la siccità abbiano aggravato condizioni patologiche preesistenti (cardio-vascolari, respiratorie, diabete, renali e mentali) e provocato nel solo 2015 almeno il 2-3% dei decessi totali. Infine il cibo non sano provocherebbe 600 milioni di eventi clinici e più di 400 mila morti in un anno.

Insomma il sistema è stretto nella morsa dei mali del passato da un lato e delle sfide del futuro dall’altro, ed i recenti atti del Ministero della Salute (un documento di fine anno e l’Atto di Indirizzo del 1 marzo scorso) esprimono la consapevolezza delle cose da fare: l’adeguamento dei Lea (varato il 20 aprile, ma da finanziare), le liste di attesa, i Piani nazionali di settore, gli interventi per il personale, l’ammodernamento strutturale e tecnologico, il Programma Nazionale Equità (previsto dai Programmi europei di coesione 2021-2027), l’attività di vigilanza, il rafforzamento della prevenzione e della ricerca sanitaria, l’ammodernamento tecnologico, e molto altro ancora.

Un Piano davvero ambizioso, che tocca tutte le questioni sul tappeto. Ma il rischio è che si tratti di un libro dei sogni impossibile da realizzare se non si porrà mano alle risorse, ma anche all’attuazione di una politica integrata per la salute, che coinvolga tutta la società, come previsto dal documento dell’Intergruppo Parlamentare Qualità della vita nelle Città, che lancia 10 proposte per una salute come fulcro di tutte le politiche: dall’alfabetizzazione e informazione sanitaria in collaborazione con la scuola, alla cura degli stili di vita sani nel mondo del lavoro e nelle comunità, alla cultura dell’alimentazione, allo sport, ai trasporti, alle misure di inclusione sociale delle fasce più deboli, fino ad una solida e costruttiva alleanza tra tutti i soggetti del territorio: Comuni, università, aziende sanitarie, centri di ricerca, industria, professionisti, terzo settore e società civile.

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