Che cos’hanno in comune i denari del Buon Samaritano e l’Umanesimo Industriale di Confindustria? Molto più di quanto non si creda comunemente. E per renderlo evidente ci voleva forse un evento solenne come l’Udienza del Santo Padre all’Assemblea pubblica di Confindustria che si è svolta ieri in Vaticano. Una prima assoluta.
Dimostrando notevole intuito politico (l’organizzazione dell’evento è partita ben prima della caduta del governo Draghi e dello scioglimento delle Camere), il presidente confindustriale Carlo Bonomi è riuscito a sganciare la kermesse annuale degli imprenditori dal classico confronto con la politica, evitando le secche della campagna elettorale e riaffer-mando le '3 A' su cui si fonda la rappresentanza degli industriali, che si configura come autonoma, agovernativa e apartitica.
Ma l’incontro, o meglio l’abbraccio tra papa Francesco e quasi 5mila imprenditori non è stata appena una mossa tattica. Tutt’altro. Esiste oggi, infatti, un terreno comune di valori e visioni che unisce il pensiero del Santo Padre agli impegni della principale organizzazione d’impresa del nostro Paese.
Lo ha illuminato ieri il Pontefice, indicando un obiettivo evangelico che può consentire lo stabile ricongiungimento tra uomo ed economia: «Nel Vangelo non ci sono soltanto i 30 denari di Giuda. Nello stesso mercato convivono i denari di Giuda e i denari del buon Samaritano. E quando i secondi diventano più numerosi dei primi, l’economia cresce e diventa umana ». Parole che si sono incrociate con la visione espressa da Carlo Bonomi, secondo cui «è proprio l’industria, la nostra industria, a poter costituire il primo motore di un vero, nuovo Umanesimo Industriale». In prima battuta, il 'segreto' di questa convergenza sta nel prezioso ruolo sociale che Confindustria può svolgere in una fase storica segnata da profondissime disuguaglianze anche negli stessi luoghi di lavoro. E su questo il Papa è stato chiaro: «Se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga, si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società».
Ma forse si può rinvenire anche una seconda ragione di sistema: la profonda evoluzione – per molti versi inattesa – della globalizzazione in atto. Nella prima fase della globalizzazione, infatti, era prevalente tra gli economisti a livello internazionale l’idea del rischio di 'fallimento' del sistema produttivo italiano, considerato un’anomalia che lo sviluppo dei mercati finanziari avrebbe cancellato: troppo piccola la taglia media delle imprese italiane, troppo alto il loro costo del lavoro, troppo bassa la loro capacità di investimento in ricerca e sviluppo. È accaduto esattamente il contrario. Perché l’aumento della quota italiana nell’export globale e la leadership conquistata in nuovi settori da parte del sistema imprenditoriale italiano sono l’effetto del passaggio a una seconda fase della globalizzazione, quella attuale, che tende a premiare la qualità delle produzioni restituendo centralità alla persona nel processo produttivo. Nasce da qui l’analisi del presidente di Confindustria, che richiamando una formula tratta dall’Esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco ha fatto proprio l’impegno del mondo dell’impresa a creare le condizioni per un «lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale ».
Bonomi ha tracciato una rotta lontana anni luce dall’idea di una crescita fondata sulla finanza per la finanza, una rotta che punta con strategie, investimenti e nuovi modelli organizzativi sul lavoro nonostante l’Italia sia «l’unico Paese al mondo in cui si parla di pensioni, appena si inizia a parlare di lavoro». La visione di Confindustria intende esaltare il ruolo della contrattazione collettiva come garanzia di retribuzioni adeguate, enfatizza l’importanza di prevenire gli incidenti sul lavoro con attività condivise con i lavoratori, abbraccia modelli partecipativi fondati sulla cultura del risultato, invoca un nuovo impulso alla strategia Industria 4.0 per cogliere le opportunità della digitalizzazione e della rivoluzione sostenibile.
«Le grandi sfide della nostra epoca non potranno essere vinte senza buoni imprenditori», ha ammonito ieri il Santo Padre, ricordando il dovere di garantire la dignità e la sicurezza di collaboratori e collaboratrici italiani e stranieri accanto a quello della giusta contribuzione fiscale. E scegliendo un’immagine straordinariamente evocativa, ha esortato gli imprenditori a non dimenticare « l’odore del lavoro » perché «il vero imprenditore vive di lavoro, vive lavorando». Qualcosa che sembrano non aver dimenticato gli imprenditori di Confindustria che hanno affollato la Sala Nervi. Consapevoli che, per pretendere dalla politica un’Italia diversa, è necessario anzitutto dare il buon esempio.
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