Gentile direttore,
mercoledì 11 luglio su 'Avvenire' è apparso (a pagina 23) a firma di Luciano Moia un articolo che riferisce del recente libro di monsignor Marengo 'La nascita di un’enciclica' e in cui si offre un’interpretazione della De nascendae prolis apparentemente opposta a quella fornita da un altro giornale, 'Il Resto del Carlino' (a pagina 29), nell’articolo curato da Giovanni Panettiere. A meno che sia io in colpa per non capire ciò che i due giornalisti scrivono... nel qual caso sarei pronto a porgere le mie scuse più sentite! Posso sperare in un chiarimento, probabilmente desiderato anche da altri lettori? Naturalmente, in contemporanea, sto scrivendo anche al direttore dell’altro quotidiano. Con vivi ringraziamenti e cordiali saluti.
Guido Gaudenzi Pesaro
Lei mette il dito nella piaga, gentile signor Gaudenzi. Ha letto e capito bene e l’osservazione che propone è corretta. In effetti, vari media hanno equivocato. Purtroppo un’agenzia di stampa tra le più seguite ha inspiegabilmente rovesciato il senso del discorso fatto dal professore don Gilfredo Marengo a proposito dell’enciclica 'bocciata' da Paolo VI. Chi non ha avuto tempo, opportunità o voglia di andare a controllare direttamente quanto scritto dall’autore e ha letto soltanto i resoconti basati su quella prima informazione fuori centro ha finito per cadere nella 'trappola'. La versione corretta – che è né più né meno quella che Marengo illustra benissimo alle pagg. 103-106 del suo libro 'La nascita di un’enciclica. Humanae vitae alla luce degli Archivi Vaticani' (Libreria Editrice Vaticana, pagg. 286, euro 26) – è la nostra. Nella De nascendae prolis non c’è alcuna apertura alla contraccezione chimica (pillola) ma, al contrario, c’è un ritorno a una tradizione pesantemente normativa e prescrittiva che già a metà degli anni Sessanta era stata superata. Totalmente ignorata, soprattutto, la preoccupazione di recepire il valore fondamentale dell’amore coniugale nel suo duplice significato di intima unione degli sposi e di apertura alla vita. Che è poi la grande lezione del Vaticano II, in particolare di Gaudium et spes. Per questo i teologi incaricati della traduzione in francese e spagnolo segnalarono a Paolo VI la contraddizione. E per questo il Papa, condividendone le perplessità, ordinò di congelare quel testo che poi finì direttamente in archivio, dove è rimasto per mezzo secolo, senza che se ne sapesse più nulla. Ricordare questo episodio, come ha fatto Marengo con grande scrupolo storiografico e precisione d’analisi, serve a confermare l’estrema difficoltà del contesto culturale e 'ambientale' in cui è sgorgata Humanae vitae. Anche alla luce di questi fatti, che confermano la 'conflittualità' esistente tra chi immaginava una nuova Chiesa nel segno del Concilio e chi ne paventava conseguenze e implicazioni ancorandosi a una 'tradizione' immobile, possiamo dire che quella preziosa Enciclica era davvero il massimo 'bene possibile' nella circostanza data. Possibile, non definitivo, come anche Paolo VI si premurò di spiegare. Anche perché le questioni alla base del documento – come sottolineano la sua genesi (complessa come un romanzo) e tutto ciò che ne conseguì dal punto di vista pastorale – non sono tutte risolte. Ci sono attese e domande che aspettano ancora accoglienza e risposta.