Chi guarda gli ottantacinque secondi del video dell’aggressione di una folla di 'gilet gialli' al filosofo Alain Finkielkraut, domenica scorsa a Parigi, resta sgomento. Per la violenza delle minacce e degli insulti a un accademico di Francia, a un pensatore e intellettuale figlio di ebrei polacchi scampati alla Shoah.
Ma, non solo per questo. Resti sgomento perché hai la sensazione di assistere a un momento di storia: storia, quella dei libri di scuola, che con l’avvento degli smartphone si traduce in immagine nell’istante in cui avviene, e già un minuto dopo è vista da milioni di persone. La storia, viva, che scorre sotto gli occhi. Ma che immagini sinistre a Parigi, il 17 febbraio 2019: l’intellettuale ebreo incappa, mentre esce di casa, in un corteo di gilet gialli, che lo riconoscono. Alcuni iniziano a insultarlo, altri si aggregano e si accaniscono, furiosi, uno soprattutto: «Vattene, pezzo di m...a, ebreo di m...a», gli urla, e gli fa cenno alla gola, in un’inequivocabile minaccia. Agli insulti si associa una schiera di manifestanti, finché il filosofo, preso sottobraccio da un passante, si allontana. «Ho sentito l’odio. Era una violenza da pogrom», dichiarerà dopo.
La violenza antisemita in Francia non è una novità. Alligna e si allarga da oltre vent’anni. Nel 2000 gli ebrei nel Paese erano mezzo milione. Oggi sono 450 mila: in molti se ne sono andati, constatando il crescere di atteggiamenti ostili, aggressioni a chi indossa la kippah, vandalismi nei cimiteri ebraici, fino all’attentato del 2015 all’Hyper Cacher, dopo il quale in un anno partirono in cinquemila, In molti se ne sono andati, dopo omicidi eclatanti di matrice antisemita, l’ultimo quello di Mireille Knoll, 85 anni, scampata alla Shoah, assassinata un anno fa nella sua casa a Parigi.
E domenica, l’aggressione dei 'gilet gialli'. Solo parole, via, minimizza qualcuno sul web. Ma che parole, e che livore nella faccia dei giovani manifestanti, non uno, ma cento. Quel video, che valenza comportamentale avrà su migliaia di ragazzi delle banlieue francesi, dove si saldano confusamente antisemitismo islamico, antisemitismo neonazista, e lo smarrimento e l’ignoranza di tanti? Per qualcuno che sussulta, quanti potrebbero aderire a un odio, di cui nemmeno conoscono le ragioni? Forse la storia nell’era digitale, moltiplicata in milioni di clic contemporanei, accelera. E ci saranno, magari, 'gilet gialli' di diversi tipi, e non tutti sono accomunabili a quelli che si stringono minacciosi attorno a un vecchio intellettuale ebreo. E però, che disastrosa immagine ci viene, della protesta francese.
E quanto sarebbe stato meglio evitare, da parte del vicepremier Di Maio, visite e abbracci con un movimento che comunque ora svela anche questa faccia. Come se nella frustrazione di una Francia impoverita e sfiduciata potesse trovare humus perfino l’odio antisemita, fantasma che torna. «Gli insulti a Finkielkraut sono la negazione assoluta di tutto ciò che siamo », ha dichiarato il presidente Macron. E tu non vuoi credere che quel virus ora endemico, ora deflagrante in Occidente, da secoli, possa di nuovo allungare radici non marginali da noi: dopo la fine dell’ultima guerra, dopo l’Europa unita, dopo il mondo nuovo in cui siamo nati. Quel video da Parigi ti turba tanto, perché insinua il dubbio che una sovversione di quel mondo nuovo sia possibile. Un figlio di scampati alla Shoah nato nella Parigi liberata, inseguito oggi da una folla minacciosa di giovani francesi.
Alcuni magari anche di origine mediorientale o maghrebina, ma nati in Francia, andati a scuola in Francia, cittadini francesi. Non può essere, erano solo cento scalmanati, ti dici, alzando istintivamente difese immunitarie contro una sconosciuta ansia: e leggi, e clicchi d’altro. Come facciamo quasi tutti. Ma ti rimane, molesta, la sensazione di avere visto un fotogramma di storia, colto in flagranza. E subito condiviso milioni di volte. Possibile che certi virus maligni nell’era digitale si propaghino più in fretta? Di certo non si può restare a guardare senza fermarsi, e dare un giudizio fermo, chiaro, netto. Anche in tempi di relativismo imperante, e, insieme, di populismo che si ingrossa come un fiume, dilagante. No, mai più. Mai più.