martedì 18 giugno 2024
Un pontefice non assiso su alcun podio, ma seduto fianco a fianco ai “potenti” a parlare con loro. La lezione è in fondo questa: se occorre, la Chiesa è pronta a mettere da parte le proprie abitudini
Il Papa seduto tra i leader al G7

Il Papa seduto tra i leader al G7 - Fotogramma

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Ha di certo cambiato la storia dei G7, la presenza di Francesco a Borgo Egnazia, ma forse un po’ anche quella del pontificato. Primo Papa non europeo nel consesso dei cosiddetti Grandi del mondo occidentale. E nel momento di maggior crisi, con due guerre – tra le tante – di portata globale in corso, entrambe al centro di un’incessante predicazione di pace accompagnata dalla più intensa azione diplomatica messa in atto dalla Santa Sede negli ultimi tempi.

Gli interventi di pontefici ai vertici degli organismi internazionali, a cominciare dall’Assemblea delle Nazioni Unite, non sono certo una novità. Iniziò Paolo VI nel 1965, poi, per due volte, nel 1979 e nel 1995, toccò a Giovanni Paolo II, prima di Benedetto XVI nel 2008 e di Francesco nel settembre di nove anni fa. Sono state occasioni solenni, che trovano tuttora posto nell’archivio dei grandi eventi, ricordati spesso attraverso qualche frase simbolo passata alla storia. “Jamaj plus la guerre” (“Mai più la guerra”) è l’eco che ancora risuona del discorso di Papa Montini, al Palazzo di vetro, quasi alla vigilia della chiusura del Concilio. Niente a che vedere con il G7 in cui per Francesco non era preparata nessuna cattedra, ma solo una sedia al tavolo di lavoro comune, e su un tema assegnato, l’Intelligenza artificiale, importante e forse decisivo per il futuro, ma pur sempre a carattere limitato.

Non si trattava quindi di una condizione abituale, ma Francesco è andato oltre, fino a trasformare l’evento in un simbolico punto di svolta: il Papa non assiso su alcun podio, ma seduto fianco a fianco ai “potenti”, pronti a tributare, a loro volta, l’omaggio dovuto, fino a mettersi in fila per un’udienza di pochi minuti. Una modalità non scontata da parte di governanti di un tempo che, pur segnato a fondo dalla secolarizzazione, continua a esprimere la necessità di un confronto, se non di una guida, sulle questioni essenziali non solo della politica ma della vita intera.

Partecipando al G7, Francesco ha avviato un processo dei suoi, aprendo la strada a quello che si può definire, un pontificato in uscita. L’analogia è certamente con la Chiesa in uscita, ma il concetto riguarda ora il Papa in prima persona, la sua volontà di portare il magistero nel vivo dei centri decisionali, là dove si preparano e spesso si compiono gli atti che segnano il futuro. L’ennesimo passo avanti di Francesco: quello della cattedra senza podio, del messaggio non calato dall’alto, della predicazione portata e quasi lasciata in pegno al tavolo dove normalmente i Grandi parlano d’altro. La lezione è in fondo questa: se occorre, la Chiesa è pronta a mettere da parte abitudini e protocolli che certo non vanno scambiati come liturgie proprie. Se occorre, è il Papa a raggiungere di persona “cantieri di lavoro” globali dove può nascere o si può costruire qualcosa di buono per l’umanità. Viene in mente, come precedente che segna la strada, il Papa che cinque anni fa alla Facoltà teologica di Posillipo chiudeva – da “convegnista” sia pure illustre – i lavori sull’aggiornamento della Veritatis gaudium.

Anche lì un tema cruciale di questo tempo e del pontificato, la centralità del Mediterraneo e il dramma delle migrazioni che lo stanno trasformando in un «freddo cimitero senza lapidi». Anche lì un tema simbolo delle periferie esistenziali dalle quali, parola di Francesco, la realtà si osserva meglio e più a fondo. A Borgo Egnazia c’era da correre al capezzale di un vero “ospedale da campo”, con i reparti magari attrezzati di tutto punto eppure incapaci di prestare il soccorso che l’umanità chiede soprattutto in termini di pace e di giustizia sociale. Il G7 di Francesco è stato alla fine un grande atto di generosità e di cordiale apertura al mondo. Si inquadra in questa prospettiva anche il tema specifico dell’Intelligenza artificiale, per il quale il Papa è stato chiamato al vertice, mostrando una Chiesa capace di affrontare a viso aperto, con coraggio e umiltà, le sfide sempre più impegnative che il futuro pone. È in ultima analisi ancora più chiara, dopo il G7, la strada del “pontificato in uscita” di Francesco.

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