Ciò che sta avvenendo in Francia in ordine all’interruzione della gravidanza, ha un significato più generale rispetto alla pur grave materia del contendere, perché costituisce un ulteriore, decisivo, passo di una strategia che da tempo cerca di erodere la normativa in difesa della vita, e oggi abbandona pudori e residue ipocrisie per limitare le libertà individuali di associazione e manifestazione del pensiero.È utile ricordare i presupposti e i contenuti delle prime leggi che legittimarono l’interruzione della gravidanza, perché ogni ordinamento ha previsto l’aborto come scelta estrema e sofferta da parte della donna nonché una serie di limiti e di impegni da assumere che dovevano dimostrare come il valore da difendere fosse comunque la vita del nascituro, e che l’aborto rappresentava una eccezione praticabile a determinate condizioni. Si è affermato che il valore da tutelare era la libera determinazione della donna, che l’aborto potesse essere praticato entro un certo periodo di tempo, oltre il quale esso sarebbe stato punito come reato.
S’è riconosciuto quindi, pressoché universalmente, il diritto all’obiezione di coscienza da parte dei medici e del personale sanitario, proprio perché il valore della vita ha un posto speciale nella coscienza individuale, laica o religiosa. Infine, si sono ipotizzate iniziative individuali e sociali capaci di prevenire o disincentivare il ricorso all’interruzione della gravidanza, anche per fare in modo che l’aborto stesso dovesse, almeno tendenzialmente, scomparire dall’orizzonte delle pratiche sociali.Con il tempo, l’ideologia e le concezioni individualiste della sessualità hanno eroso l’orizzonte appena delineato e, specie negli anni più recenti, molto (in alcuni Paesi tutto o quasi) dell’impianto teorico e pratico delle leggi approvate, è stato stravolto e rovesciato. Il tentativo più drammatico è stato quello di trasformare il ricorso all’aborto da eccezione in diritto umano, cancellando il principio della difesa della vita proclamato nelle Carte internazionali del secondo Novecento.
I tentativi sono stati molteplici, alcuni ambigui e indiretti, altri espliciti, alcuni riusciti e altri bocciati, e di essi "Avvenire" si è costantemente occupato. Basterà ricordare che più volte si è cercato di far approvare dal Parlamento europeo una risoluzione protesa a promuovere nei singoli Stati le pratiche di fecondazione artificiale, contraccezione, aborto e teorie del gender, anche se sinora questo obiettivo non è riuscito a coagulare una maggioranza. Un recente documento del Consiglio dei Diritti dell’Onu prevede che ogni piano nazionale deve garantire l’accesso a interventi essenziali per la salute, come i servizi di pianificazione familiare, la gestione delle gravidanze inattese, l’accesso ai servizi di aborto.
Nel dicembre 2014, invece, il Parlamento francese approva una risoluzione che menziona esplicitamente il diritto all’aborto come diritto fondamentale. Infine, in alcuni Paesi s’è iniziato a contestare, limitare, l’obiezione di coscienza dei medici e del personale sanitario, valutandolo come strumento che impedirebbe il ricorso all’interruzione della gravidanza. Si può parlare di una sorta di assedio, mediante il quale il ricorso all’aborto viene posto al centro di una intelaiatura giuridica che cerca di favorirlo in diverse maniere. Ma ciò che sta avvenendo in Francia in questi giorni, con l’approvazione di una legge che punisce chi propone alternative all’aborto, costituisce un salto di qualità drammatico perché invade un altro campo, aggredisce direttamente e contemporaneamente la libertà di manifestazione del pensiero dei cittadini e la libertà della donna di decidere autonomamente, valutando i diversi aspetti del problema, se portare a termine la gravidanza. Si considerano così i suggerimenti, i consigli, le opinioni, che si possono dare attraverso appositi siti di internet, per operare una scelta diversa, come un «delitto d’impedimento all’interruzione volontaria della gravidanza».
È necessario valutare bene le conseguenze, giuridiche e sociali, di proposizioni del genere, che sono sconosciute alla generalità degli ordinamenti, e che tendono ad avvolgere in un’area di illiceità, comportamenti non soltanto legittimi ma pienamente coerenti con la promozione dei valori umanistici delle nostre società. Si comprende agevolmente che così facendo si riduce in primo luogo drasticamente la libertà di espressione, in senso laico e religioso, perché colpisce chi esprime opinioni, dà suggerimenti, offre aiuto, per chi voglia evitare il ricorso all’aborto.
Quindi, si profila all’orizzonte il rovesciamento del valore tutelato dall’ordinamento: se fino ad oggi esso è la vita e la sua tutela, con una legge del genere si colpisce proprio chi si prodiga per essa cercando di favorire il libero convincimento della persona. Infine, un elemento precipuo riguarda proprio la donna e la sua libertà, in quanto se ne accresce la solitudine, in antitesi al principio fondamentale per il quale la donna deve essere messa in grado di valutare i diversi aspetti della questione.
Il Presidente della Conferenza Episcopale Francese, monsignor Georges Pontier, in una lettera al Presidente Hollande, ha richiamato la sua attenzione su questo profilo, e ha segnalato che con la criminalizzazione dei siti si colpiscono proprio le voci che possono far riflettere chi vive la l’asprezza e il tormento dell’aborto, e che ciò determina un precedente ancor più grave di limitazione della libertà d’espressione in quanto tocca questioni di libertà di coscienza: «Ciò mi sembra essere una minaccia gravo ai princìpi della democrazia».
Si può fare un’ulteriore riflessione. Con questa strategia volta a ridurre lo spazio di libertà individuale si cerca di fare il vuoto attorno al valore della vita, cancellandone il senso più profondo che esso ha per la persona, la sua coscienza, per l’ordinamento. Si consideri, infatti, il tentativo, anch’esso in pieno svolgimento, di introdurre la promozione delle teorie del gender perfino nella scuola, in contrapposizione al diritto dei genitori, garantito dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, di educare i figli in coerenza con i propri valori umani e religiosi. Si scorgerà allora che siamo di fronte a una sempre più stringente strategia di deformazione e impoverimento del substrato valoriale delle Carte internazionali dei diritti umani, di promozione-imposizione di concezioni e mentalità egoistiche e materialistiche, facendo il contrario di ciò che chiede una società democratica e pluralista aperta al contributo e all’apporto di tutte le correnti ideali che permeano la società.
L’imposizione passa oggi attraverso una via inesplorata, che intende emarginare, far affievolire, persino silenziare le voci di chi la pensa diversamente, di chi vuole dare il suo contributo perché i diritti umani tornino a rivestire il significato alto che le proclamazioni internazionali hanno voluto affidare loro dopo la fine del totalitarismo.