In una mano la Costituzione, nell’altra la fitta agenda degli impegni da assolvere per tornare a «una nuova normalità» dopo la pandemia. Così, idealmente, Sergio Mattarella si è presentato al Parlamento in seduta comune nell’aula di Montecitorio per cominciare il suo secondo mandato. Un bis che avrebbe volentieri evitato, anche perché – da fine giurista, già giudice costituzionale – si tratta di una soluzione che lo lascia almeno perplesso. Ma, ha ripetuto, non ha potuto né voluto sottrarsi per non lasciare il Paese in balia dell’incertezza politica e istituzionale in un momento storico così duro. Ed è all’Italia che ha parlato ieri, il capo dello Stato, pur rivolgendosi alle istituzioni.
Richiamandole ciascuna alle proprie diverse, ma tutte fondamentali, responsabilità. I passaggi più forti del discorso, infatti, riguardano proprio il funzionamento del Parlamento, del governo, della magistratura e dei partiti politici, la cui crisi è emersa con particolare evidenza proprio durante le trattative per l’elezione del presidente della Repubblica. Agli italiani ha detto in sostanza che l’Italia può e deve ripartire, a condizione di rinnovarsi profondamente. E che lui, da garante della Costituzione, vigilerà affinché ciò avvenga. Agli italiani sa parlare, Sergio Mattarella, con le parole, con i gesti, con le iniziative.
Lo abbiamo visto tante volte negli ultimi sette anni. Lo abbiamo visto nuovamente ieri, nel cuore di Roma, dove una grande folla lo attendeva per vederlo passare e ringraziarlo con un applauso. Lo abbiamo visto quando non ha dimenticato di inserire 'a braccio' un ricordo di Monica Vitti, vera icona popolare. Quando ha commosso tutti con l’omaggio al compianto David Sassoli. Quando ha citato il giovane Lorenzo Parelli, studente morto durante l’alternanza scuola-lavoro. Quando, ancora una volta, nel suo messaggio ha dimostrato di conoscere e avere a cuore tutte le realtà, le fasce d’età, le convinzioni politiche, le condizioni personali, sociali, lavorative ed economiche degli italiani, riassumendole nell’irrinunciabile «dignità» di ciascuno.
Ma è anche capace di fermi richiami, il presidente, e ieri certo non ne ha fatto risparmio. Con la sobrietà e la pacatezza di sempre, perché il vero leader non è quello che urla di più, ma quello che più sa ragionare e indicare la via. Avanti con il rinnovamento, dunque. A partire dalla riforma della giustizia, che da presidente anche del Consiglio superiore della magistratura, il capo dello Stato è tornato a sollecitare: basta logiche di appartenenza, le toghe tornino al «rigore» e a dare un’immagine «di efficienza e di credibilità» ai cittadini.
Allo stesso modo il Parlamento è chiamato a darsi nuove regole (regolamenti che scoraggino lo sgretolamento dei gruppi e magari una legge elettorale che concili stabilità e rappresentatività, come fece il 'Mattarellum' ideato proprio dall’attuale capo dello Stato) per «favorire una stagione di partecipazione» alla po-litica, alle istituzioni, soprattutto da parte dei giovani. Ce n’è anche per il governo, che deve consentire alle Camere il tempo di discutere e valutare i provvedimenti, soprattutto quelli fondamentali come la legge di bilancio, che invece troppo spesso arrivano nelle aule sul filo di lana e 'blindati' dalla questione di fiducia. Non va sottovalutato, poi, il riferimento al «ricorso ordinato alle diverse fonti normative», che giunge al termine di un biennio in cui sono piovuti i Dpcm e i decreti legge. Infine, si diceva, i partiti, che, con i corpi intermedi, devono tornare a fare il loro mestiere: rispondere alle istanze dei cittadini, per non lasciarli soli.
Per non lasciar loro credere che il populismo sia una strada percorribile senza danni, che le 'democrature' siano preferibili alla democrazia liberale, che la politica sia una perdita di tempo o, peggio, uno sporco affare. Perché senza una politica autorevole, «poteri economici sovranazionali » tendono a imporsi. Mattarella, con stile, ha spiegato di aver fornito alcuni «orientamenti » e «avvisi» per «la nuova fase che inizia dopo la pandemia».
Ma c’è anche l’esortazione a «riannodare il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e democratiche»: occorre insomma riportare i cittadini a fidarsi delle istituzioni, a credere nello Stato, a sentirsi comunità. «Ecco, noi, insieme, responsabili del futuro della nostra Repubblica », è stata la sua conclusione. C’è da augurarsi che gli applausi scroscianti risuonati ieri a Montecitorio e quelli, virtuali, rimbalzati dopo in centinaia di dichiarazioni, si trasformino in vera presa di coscienza. Che non restino solo l’esultanza fugace per aver sbloccato, con la rielezione di Mattarella, l’ennesimo stallo di una politica troppo litigiosa.