Viene a volte da chiedersi se i leader delle destre italiane, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, abbiano davvero l’obiettivo politico di formulare una seria proposta per il governo del Paese o prevalga la molto meno ambiziosa preoccupazione di giocare coi consensi (anche marginali) per allungare le proprie carriere personali. La domanda, che certamente è anche una provocazione, nasce spontanea dai fatti degli ultimi giorni, ovvero dal tempo che si sta perdendo per assumere decisioni ovvie sul contenimento dell’epidemia: nell’immediato l’estensione del Certificato verde – quello che tutti ormai chiamano Green pass – per evitare la chiusura delle attività economiche e in prospettiva, se necessario, l’obbligo vaccinale.
A turbare e far esitare Salvini e Meloni sono movimenti minoritari no-vax che, in qualche frangia, hanno provato e ancora provano a trovare sbocchi violenti e minacciosi. È davvero difficile capire cosa abbiano a che fare con queste correnti estreme i capi di partiti che rivendicano una cultura di governo e che già si esercitano – con tutt’altre parole d’ordine – nell’amministrazione di Regioni e Comuni. Correnti estreme che si possono anche 'pompare' e strumentalizzare in tempo elettorale, ma che poi si abbattono con potenza come un boomerang proprio contro chi le utilizza, come insegna quanto accaduto al M5s. Con un ulteriore grave effetto collaterale: si rischia di perdere la fiducia non solo del voto-zizzania, ma anche del voto-grano che nel frattempo resta spiazzato da incertezze politiche su concetti basilari.
Tra i governanti e politici europei vicini alle sensibilità politiche di Salvini e Meloni o, quantomeno, molto distanti dalla sinistra 'chiusurista', si sta ben attenti a non mettere il cappello sullo strano intruglio no-vax. D’altra parte, quando si asseconda qualsiasi tendenza che muove i sondaggi dello zerovirgola, senza vagliarla e discernerla nella più grande categoria della responsabilità, si rischia di perdere credibilità e affidabilità sia a livello interno sia, soprattutto, internazionale. Si diventa, per utilizzare una parola entrata nella storia recente del Paese, unfit: inadatti a governare. Un’etichetta che non si lava via facilmente. L’ultimo esempio illuminante per le destre italiane viene dal popolare (molto conservatore) austriaco Sebastian Kurz, che non ha esitato ad annunciare che eventuali nuovi lockdown riguarderanno solo i non vaccinati.
Mentre il magiaro Viktor Orbán, conteso da Salvini e Meloni nella prospettiva di una nuova formazione europea a metà strada tra Ppe e anti-europeisti, da settimane è partito con le terze dosi, anche per riparare alla fretta con cui si era affidato, fuori dalla cornice Ue, al vaccino russo. Certo il discorso per Meloni e Salvini va differenziato. La leader di FdI è all’opposizione e fa il 'suo gioco' specie in vista delle amministrative, in cui vuole collezionare tutte le sacche di dissenso all’attuale esecutivo. Per il capo della Lega è diverso, perché i suoi tentennamenti frenano le decisioni del governo e della maggioranza dall’interno, provocando ritardi che, quando si parla di salute, possono costare vite. L’ultimo 'balletto' sul decreto Covid è sintomatico: alzare un muro contro lo strumento- chiave di questa fase, il Green pass, e poi ritirarsi di buon ordine quando si ritiene che sia passato il messaggio 'io ci ho provato, avete visto, sono loro che vi tolgono la libertà e se non ci fossi io ve ne toglierebbero di più'.
Sarà così, si può starne certi, anche sull’estensione del Pass e sull’eventuale obbligo vaccinale: contorsioni e poi il 'sì sofferto', con ulteriore e colpevole sciupìo di tempo. Un gioco pericoloso e la cui redditività anche in termini di consenso è tutta da dimostrare, nella pragmatica Italia del dopo-Covid. Un Paese che, piaccia o non piaccia, ha un parametro nuovo (e allo stesso tempo 'antico') nella cultura di governo: Mario Draghi. Tra l’altro Salvini ha scelto consapevolmente l’impegnativo parametro-Draghi, e ha anche scommesso, raccogliendo autorevoli consigli, sulla possibilità di partecipare a un 'dividendo' politico: nel suo caso l’accreditamento presso i 'moderati'. Non è chiaro se questo dividendo non interessi più a Salvini o se, semplicemente, richiede quei tempi lunghi che un 'leader veloce' non riesce a gestire.