Viviamo l’epoca della popolarità a ogni costo. La nostra società ne è letteralmente intossicata. Non conta la professione, il ruolo, se si è ministri o casalinghe, si vive come influencer costantemente a caccia del consenso, da ottenere a qualsiasi costo. In questa corsa sfrenata, l’unico comandamento che si rispetti è il seguente: accondiscendere qualsiasi istinto altrui pur di farsi seguire. Dire 'sì' a ogni richiesta. 'Sì' a ogni ipocrisia. 'Sì'. A tutto. Se uno solo è il comandamento da rispettare, molte, moltissime sono invece le vittime che si sacrificano sull’altare della popolarità. I valori vengono travisati, le parole tradite, le promesse dimenticate.
Anche il tempo ha perso gran parte della sua maestosa valenza, non esiste più passato, meno che mai il futuro, conta il presente, esclusivamente il presente. Il futuro, soprattutto, come dimensione umana fatta di immaginazione e slancio, rischia di non appartenerci più, perché richiede troppo lavoro, perché all’incasso si deve passare subito.
Il nemico numero uno del nostro tempo è un monosillabo, un avverbio. Oramai è una specie di perversione anche solo da pensare. Il contrario di tutti i vuoti e falsi 'sì'. Il 'no', è sparito dai vocabolari, è riservato solo ai deboli, ai marginali, a quelli - vale la pena di sottolinearlo nel giorno che per volontà di papa Francesco la Chiesa dedica ai poveri - che sentiamo irrimediabilmente come gli ultimi della fila: 'no' come negazione, 'no' come rifiuto. Dirlo a tutti gli altri, ormai, è politicamente scorretto, una cosa da maleducati, al limite, quando non è proprio possibile pronunciare il ben più pacifico e remunerativo 'sì', meglio virare su alternative meno nette, diciamo sospensive. I nostri anni sono pieni di 'forse', di 'vedremo', parole che servono a prendere tempo, a procrastinare il momento delle scelte reali, con la speranza che, alla fine, sarà qualcun altro a prenderle, magari a pronunciare il monosillabo maligno che con tanto cura si è evitato. Perché è sempre meglio che a dire 'no' sia qualcun altro. Perché così si potrà sempre dire che non siamo stati noi, che per noi, forse.
Quanto insulso temporeggiare accade tutti i giorni ovunque, nelle nostre case, nei palazzi del potere, solo perché ci resta sempre più difficile essere netti, fermi di fronte alla nostra decisione per quanto sgradita, non per bontà sia chiaro, ma per opportunismo, semplici ragioni di calcolo. Nel nostro orizzonte attuale c’è una sola figura che non teme l’impopolarità, pensateci, che non insegue per farsi seguire. Una sola figura che obbedisce alla propria visione di presente e di futuro con lucidità, guardando oltre, senza badare a chi storce la bocca, a chi s’indigna di fronte a ciò che non riesce a scorgere.
Come fanno i veri educatori, i buoni padri, sa che la sua azione passerà anche dentro tanti 'no', perché non è cedendo a tutto che si fa crescere un uomo, tantomeno le nazioni. Papa Francesco è immune al contagio della popolarità a ogni costo, non si preoccupa di essere scomodo, di perdere o guadagnare like o follower, ragiona per generazioni senza accontentarsi del presente, figuriamoci del consenso. Per questo lo attaccano. Per questo è amato e trova ascolto.