Caro direttore,
bella la lettera di Enzo Bernasconi che evidenzia come quanto successo secondo una scottante inchiesta agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria (gravissimi errori medici, omertà, moltiplicazione di aborti) è uno scandalo che si somma a quello enorme dell’aborto legalizzato in Italia. Siamo a quota 6 milioni. Cifre da «autogenocidio» come si disse (dopo) Pol Pot in Cambogia e come avvenne e avviene (anche se incominciano ad accorgersene) in Cina. L’enormità di queste cifre a livello mondiale oscura quanto fecero Hitler e Stalin, e il guaio è che in Paesi sedicenti democratici ciò avviene con morbida assuefazione, ma, pare che per presunta pace si debba tacere e a chi ci pensa si dice di non farsene una ossessione. Io, direttore, questa ossessione ce l’ho e non so se devo consultare uno psichiatra... Temo che siamo rimasti in pochi, come i ragazzi della Rosa Bianca.
Silvio Ghielmi - Milano
Penso, caro dottor Ghielmi, che non siamo “ossessionati” e neppure necessariamente in “pochi”. Tante donne e tanti uomini, di diversi Paesi e di diversa fede e cultura, hanno consapevolezza della tragedia dell’aborto. Sanno che è usato infinite volte, come brutale strumento di controllo delle nascite e di selezione di (presunti) “perfetti”, gli unici degni di venire al mondo. Bisogna far crescere questa consapevolezza. Resistendo alla tentazione di darci ingiustamente pace per l’ingiustizia. Chinandoci a sollevare ogni persona caduta. Battendoci «con amore» – come ci chiede papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali 2016 – per cercare di vedere e riconoscere la verità e per aiutare altri a vederla e a riconoscerla. È, questa, la misericordia. Antidoto all’indifferenza, e a ogni assuefazione. Condizione di umanità per tutti, comunque la pensino e comunque credano. Cuore di Dio, misura di Cristo, via maestra per chi accoglie il Vangelo.
«La parola del cristiano – dice ancora il Papa – (...), anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione». Un modello di travolgente forza, in questo senso, è Madre Teresa di Calcutta, oggi beata e presto santa, che – ricevendo il premio Nobel – seppe vedere e dire al mondo che «il più grande distruttore della pace è l’aborto» e per tutta la vita con dolore e semplicità continuò a pregare sorridendo chi non sapeva e non voleva accogliere la vita nascente: «Dateli a me, dateli a me».
Lei, gentile e caro amico, evoca infine i «ragazzi della Rosa Bianca» che nella Germania nazista sfidarono, da cristiani, il pensiero dominante del proprio tempo e la disumanità eretta a sistema. Li considero anch’io, da sempre, tra gli esempi mobilitanti per la vita di chiunque abbia chiaro che cosa valga davvero. E non penso mai a loro come “pochi”. Penso a loro come persone giovani e coraggiose, coerenti e lucide, dallo sguardo lungo e così “innamorato” da dimenticare scoramenti e paure. Sono la dimostrazione che il seme buono nel tempo porta sempre frutto. E che non bisogna disperare, mai.