Non è scontato che il tetto al prezzo del gas funzioni. Quello delle materie prime è un mercato libero: l’Unione Europea può indicare il prezzo massimo che è disposta a pagare, ma i suoi fornitori non sono obbligati ad accettarlo. Possono portare il loro gas altrove, magari in Asia, dove la domanda resta alta nonostante la frenata dell’economia. Le cautele dei governi di Germania e Paesi Bassi sulla misura che l’Italia invoca da mesi sono comprensibili: fissare un prezzo per legge è tecnicamente possibile ma rischioso, ce lo si può permettere quando si tratta da una posizione di forza. Una forza che l’Europa, divisa e barcollante, oggettivamente al momento non ha. Probabilmente però non vedremo mai il “price cap” davvero all’opera. Il Consiglio europeo ha chiesto alla Commissione di presentare con urgenza proposte concrete per un «corridoio dinamico di prezzo di carattere temporaneo per le transazioni di gas naturale» e un «quadro temporaneo dell’Ue per fissare un tetto al prezzo del gas utilizzato per la produzione elettrica». Le condizioni che accompagnano la richiesta sono così vaghe e severe da indirizzare chiaramente il progetto verso l’annacquamento nella burocrazia brussellese. L’impressione è che ancora una volta davanti a una crisi energetica inimmaginabile l’Ue abbia finito per cincischiare, spostando di nuovo in avanti il confronto sincero e concreto sulle possibili soluzioni. «Il Consiglio europeo continuerà ad occuparsi della questione» recita il comunicato finale della riunione di ieri. Più che un impegno sembra una minaccia.
È ormai un anno che il prezzo del gas in Europa è andato fuori controllo (ieri a Bruxelles qualcuno esultava perché le quotazioni dei future del Ttf sono scese verso i 110 euro per MWh, fingendo di non sapere che due anni fa erano a quota 15 euro). Lunedì saranno passati otto mesi da quando il nostro principale fornitore, la Russia, ha invaso l’Ucraina trasformandosi in un partner commerciale troppo indecente. Eppure l’Europa non ha ancora saputo nemmeno avvicinarsi a una soluzione per proteggere le famiglie e le imprese da questo uragano energetico. Ha solo preso tempo e parlato molto, mentre i singoli Stati si muovono in maniera scoordinata per tamponare i drammatici effetti sociali delle bollette impazzite.
Quando Ursula von der Leyen vanta il risultato di avere ridotto la quota russa sul totale delle nostre importazioni di gas dal 40% a meno del 10% dimentica di ricordare che quel taglio lo abbiamo subìto. È stata Mosca a ridurre il flusso verso Ovest: l’Ue non ha mai sanzionato il gas della Russia. Le aziende europee continuano a comprare tutto il metano che Gazprom continua a spedirci, regalandoci il triste ruolo di involontari sponsor del conflitto: acquistando il gas finanziamo indirettamente l’esercito russo e nello stesso tempo – più direttamente – inviamo armi a quello ucraino.
In assenza di rimedi concreti, gran parte del gas che entra in Europa in questi mesi ha prezzi folli. Anche quello che arriva dai nostri nuovi principali fornitori, la Norvegia e gli Stati Uniti. Nazioni democratiche e amiche, ma evidentemente non abbastanza da accettare di darci una mano con qualche sconto “politico”. Non è chiaro se l’Ue abbia chiesto un contributo di questo tipo a Oslo e Washington: il “price cap” non è l’unica soluzione per fare scendere i prezzi. Fa uno strano effetto sentire il primo ministro norvegese che ci avverte amichevolmente di stare attenti a mettere un tetto ai prezzi, mentre nei primi nove mesi dell’anno gli introiti dalle vendite di gas della Norvegia sono balzati da 27 a 89 miliardi di euro. Così come stonano le continue difese del mercato europeo dell’energia, che ha fallito perché è stato costruito su un’ideologia mercatista applicata a un servizio pubblico, come ha scritto proprio su “Avvenire” mercoledì scorso un giurista esperto come Giampaolo Rossi.
Le sanzioni sono un coltello senza manico, ci ricordava qualche settimana fa un ex manager del settore petrolifero: fanno male anche a chi lo punta. L’Europa lo sapeva dall’inizio e doveva essere pronta a curarsi le ferite. Invece temporeggia, litiga, non sa decidere e finisce per farsi male da sola. Vista dall’Italia – con le sue piccole imprese in ginocchio, la povertà ai massimi storici e le famiglie intimorite da contatori “intelligenti” ma esosi – oggi Bruxelles è proprio lontana.