La luce che non si spegne (Il Natale e il natalizio)
sabato 21 dicembre 2019

Giro per strada e cerco di distinguere ciò che è Natale da quel che è solo natalizio. Ci sono luci ovunque, pupazzi, striscioni, réclame, oggetti belli e bizzarri nelle vetrine. Tutto molto natalizio. E dunque, si potrebbe dire, tutto molto legato al Natale. Ma quanto è davvero reale, forte, sentito questo legame? Nessun disprezzo ovviamente per chi deve tirare avanti un mestiere e dunque 'usa' anche il Natale per vendere qualcosa, per tirare su qualche euro. Ma certo, si ha l’impressione di una specie di grande fiera, dove sorrisi, musiche mielose, panorami e famigliole ritratte siano un po’ troppo finti, una po’ furbi, un po’ troppo in posa. Cammino e mi chiedo come distinguere quel che è segno autentico del Natale, quel che è una sostanza da quel che invece è solo un aggettivo, un’aggiunta, solo natalizio.

Ci sono molti segni in giro, molti dei quali non si sa nemmeno bene che senso abbiano... Alberi, stelle, pacchi di doni. L’effetto in certi luoghi è quasi di imbambolamento. In alcuni luoghi ci sono anche dei finti presepi, cioè delle ricostruzioni di villaggi, con montagne, fiumiciattoli etc, ma senza capanna, senza Gesù Bambino. Li chiamano 'villaggi natalizi'. Ecco, a volte pare che questo tripudio potrebbe stare su 'senza' Gesù.

Lo aveva predetto, oltre cent’anni fa, Charles Péguy, poeta e pensatore: hanno fatto una civiltà senza Gesù. Magari coi fiocchi e con le luci nel periodo della sua nascita, che aveva ridato senso più umano e più eterno alle feste di stagione antiche. Tutto molto natalizio, ma senza o quasi senza Natale.

Eppure, qualcosa in questa frenesia, in questa necessità anche strampalata di mettere una luminaria, o un mezzo albero o una statuina con la candela in casa, parla di una verità del cuore umano. Una verità confusa, quasi soffocata da mille cose secondarie, da molti affanni di apparire, di arricchirsi, di essere accettati. Come se sotto tutte le luci fasulle, gli addobbi messi così per abbellire e per vendere, le luminarie per tirare su l’umore, ci fosse però un residuo, un rimasuglio di ferita, o forse di domanda.

Come se le luminarie senza Gesù fossero come il fuoco del pastori che non sapevano nulla di Lui, che non s’aspettavano chiaramente nulla di preciso, ma che intorno a quel fuoco, come molti oggi con le luminarie, cercavano un po’ di calore, un po’ di conforto, un po’ di vita. Forse le luminarie, le pubblicità, le cose anche squinternate e a volte divertenti che ci arrivano negli occhi per strada e attraverso tutti i canali che ci raggiungono, sono come il fuoco di quei pastori, inconsapevoli e però inquieti, perché nessuna delle cose che avevano (pecore, donne, vino, e noi potremmo aggiungere un sacco di altre cose) placava il disagio del loro cuore.

E accendevano il fuoco, senza sapere di Gesù, come si accendono le vetrine, le luminarie, le pubblicità, i video, così per avere un po’ di luce, di fuoco. Per avere qualcosa che un poco scalda la vita, ma di certo non la soddisfa, non la riempie di gioia. Come intorno a quel fuoco i pastori, noi intorno e un po’ persi tra luminarie e addobbi, forse attendiamo un annuncio, forse in fondo in fondo speriamo di trovare un volto di bambino da fissare. Il volto di un «Iddio che ride come un bimbo», come scriveva Ungaretti. Forse, questo tripudio di lucentezza che a volte sembra dimenticarsi il perché, è, al tempo stesso, il segno di tanti cuori che confusamente desiderano incontrare una luce che non vuole venderti qualcosa e che non si spegne poco dopo.

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