mercoledì 25 ottobre 2023
Dopo un lunghissimo sciopero, gli sceneggiatori americani hanno vinto la loro battaglia e hanno ottenuto dai produttori di Hollywood migliori condizioni economiche e di lavoro
Lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood

Lo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood - ANSA

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Gli sceneggiatori americani hanno vinto la loro battaglia. La quasi totalità degli 11.000 iscritti alla Writers Guild of America (Wga) ha approvato l’accordo che a fine settembre i sindacati degli sceneggiatori e i produttori avevano elaborato, accordo che sostanzialmente accoglieva tutte le richieste degli sceneggiatori, in sciopero da cinque mesi.

Sui media italiani si è parlato soprattutto della nota forse più di colore, la difesa rispetto all’invasione dei sistemi di intelligenza artificiale, ma gli oggetti del contendere erano molti, molto specifici e molto concreti. Un documento della Wga che sintetizza l’accordo conta sedici punti, e diversi di essi hanno più di cinque commi.

Si definisce, per esempio, il salario minimo per scrivere serie televisive con un certo budget, il numero minimo di sceneggiatori da mettere sotto contratto – e per quante settimane almeno – per scrivere una serie televisiva (un minimo di sei sceneggiatori/producers per una serie breve, nove per una serie lunga), mentre negli ultimi anni Netflix e Amazon volevano team più ridotti. Inoltre il sindacato degli sceneggiatori è riuscito a ottenere un premio economico agli autori per l’eventuale successo – negli Usa o all’estero – di una serie diffusa in streaming, superando la difficoltà opposta dalle piattaforme che non vogliono rendere pubblici tutti i dati dello streaming ma si limitano a dare alcuni risultati molto generali, e solo per alcuni prodotti: d’ora in avanti le cifre verranno comunicate in via confidenziale a rappresentanti della Wga e si procederà di conseguenza al pagamento dei residuals , cioè il premio economico, mantenendo i preziosissimi dati sotto chiave.

Al di là degli aspetti molto specifici e tecnici, gli accordi costituiscono un bel passo avanti (in alcune fattispecie il compenso previsto è addirittura raddoppiato) per una categoria che in realtà è responsabile in grandissima misura del successo di un film o di una serie, ma che storicamente – e in modo inspiegabile – è stata tenuta un po’ nell’angolo, soprattutto nella considerazione della stampa di settore, e di conseguenza anche dal pubblico. Questo fattore è un po’ paradossale ed è fonte di una sterminata aneddottica, anche in Italia, e non da ieri. È rimasta celebre la sfuriata di Ennio Flaiano, sceneggiatore dei migliori film di Fellini, relegato in classe economica nel volo verso Los Angeles per la cerimonia gli Oscar, mentre produttore e regista erano in prima classe. Eppure le ricerche negli archivi hanno dimostrato che La dolce vita ha moltissimo di Flaiano, forse addirittura di più di quanto si deve alla regia del riminese. Fu celebre a suo tempo anche la polemica di Robert Riskin, lo sceneggiatore dei più grandi successi di Frank Capra, con il regista italoamericano che insisteva nel definirsi unico autore dei propri film.

Oggi invece nel sistema televisivo americano, e non più solo dentro i circuiti dell’industria dello spettacolo, gli sceneggiatori sono ormai considerati come i veri e propri autori delle serie: nomi come Vince Gilligan per Breaking Bad , Shonda Rhimes per Grey’s Anatomy, Bridgerton e molte altre, Taylor Sheridan per Yellowstone e i suoi derivati, sono assurti al rango di vere e proprie star e iniziano a essere conosciuti anche dal grande pubblico, diventando dei brand e caratterizzando in modo specifico il proprio lavoro.

Proprio su Yellowstone è sorprendente notare che pur essendo da vari anni la serie tv di maggior successo in Usa su canali cable non solo non abbia mai vinto nessun Emmy (gli Oscar di questo genere televisivo) ma non ha neanche avuto alcuna nomination nelle categorie più importanti. Probabilmente perché parla a un’America profonda che non è molto in sintonia con Hollywood, come non è in sintonia Sheridan, che vive isolato in Texas, ben rifornito con montagne di dollari dalla Paramount che gli ha commissionato otto diverse serie.

Il sindacato Wga ha dimostrato di essere molto ben organizzato, con gli scrittori americani che hanno fatto uno sciopero puro e duro, divisi in team che assicuravano il picchettaggio continuativo con turni di due o tre mattine a settimana ciascuno per presidiare luoghi specifici, rifiutandosi non solo di inviare materiale scritto ma anche di partecipare a riunioni e di presentare progetti. E alla fine, consapevole che il lavoro di scrittura è assolutamente cruciale per il buon esito di un film e di una serie televisiva, e che scrittura e sviluppo occupano in realtà solo una piccolissima parte del budget complessivo di un progetto, l’associazione dei produttori ha accettato praticamente tutte le proposte della Wga. Ora però i produttori devono risolvere il problema dello sciopero degli attori (che sono 160.000), prima di poter riprendere a pieno ritmo la produzione, che è ferma da luglio causando danni enormi all’economia della California e di tutti gli Stati Uniti.

E in Italia? Da noi la situazione per gli sceneggiatori è più difficile, tanto per cominciare perché non c’è una tradizione consolidata di un sindacato degli scrittori. Recentemente le due associazioni a cui faceva riferimento la maggioranza degli sceneggiatori italiani, Centoautori (nata anche con una chiara identità politico-culturale) e la Writers Guild Italia (sorta pochi anni fa con intenti più specificamente professionali e sindacali), si sono accordate per concedere la validità reciproca dell’iscrizione a una delle due associazioni, per cui chi è associato all’una può fare automaticamente parte dell’altra. Ma la figura dello sceneggiatore è ancora abbastanza bistrattata: non ci sono minimi sindacali definiti, né particolari tutele per quanto riguarda assicurazioni e malattie – come invece avviene in America. E nella considerazione dell’opinione pubblica tanto i film quanto le serie televisive risultano realizzate soprattutto dai registi (e dagli attori).

Se è comprensibile che per il pubblico valga l’attore, è singolare che la stampa di settore non si renda conto del valore e dell’importanza del ruolo dello sceneggiatore. Per fare un solo un nome, molti si sono accorti di Francesco Bruni solo quando nel 2011 è passato alla regia col film Scialla! (e ora con la serie Tutto chiede salvezza). Ma al momento di scriverlo e dirigerlo Bruni aveva già co-scritto tutti i film di Virzì, tutti i Montalbano per la Tv, alcuni film di Mimmo Calopresti e di Ficarra e Picone. Un’autorialità molto ben definita e determinante, eppure quasi ignota. Se andiamo al nostro cinema contemporaneo, per fare altri esempi, basterebbe vedere cosa hanno scritto autori come Stefano Rulli e Sandro Petraglia. In questi giorni si parla dell’esordio alla regia di Claudio Bisio, ma si dimentica che a scrivere il film è stato Fabio Bonifacci, che di film ne ha scritti più di trenta, fra cui alcuni davvero belli, come Mio fratello rincorre i dinosauri . È anche curioso che quando si presenta alla stampa una nuova serie spesso non venga neanche invitato lo sceneggiatore, ovvero chi ha inventato i personaggi e le loro storie, ha scritto i dialoghi, ha immaginato tutto.

Come consulente da tempo della Lux Vide, su alcuni progetti, constato che uno dei “segreti” dei continui successi delle loro serie (da Don Matteo a Blanca, da Che Dio ci aiuti a Doc - Nelle tue mani , dalle tre stagioni di Medici alla serie per Sky Diavoli) è l’investimento lungo e paziente sulla scrittura e la costante collaborazione con sceneggiatori giovani ma già assai ben consolidati come Francesco Arlanch, Elena Bucaccio, Umbero Gnoli, Silvia Leuzzi, Mario Ruggeri, che non a caso Lux ha blindato con contratti di esclusiva. Dell’importanza di investire sulla scrittura si stanno accorgendo anche alcune Film Commission italiane, gli enti locali – per lo più regionali – che si occupano di favorire lo sviluppo dell’audiovisivo e di fornire servizi alle produzioni in una certa area: lo fa da anni la Film Commission dell’Alto Adige, promuovendo e finanziando lo sviluppo di storie che abbiano a che fare con il territorio, e ha iniziato a farlo recentemente con un bando ad hoc anche la Regione Puglia. Nei giorni scorsi l’assessore lombarda alla Cultura, Francesca Caruso, nel lanciare un bando di 3 milioni di euro a sostegno della produzione cinematografica in regione ha annunciato che nel 2024 ci saranno specifici fondi sullo sviluppo delle sceneggiature. Sembra che quindi questa consapevolezza poco a poco si faccia strada. Un segnale interessante, che potrebbe preludere a una crescita in pochi anni dell’industria audiovisiva nel nostro Paese.

Direttore Master in International Screenwriting and production Università Cattolica di Milano

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