L’obbligo di Certificazione verde, il cosiddetto Green pass, per i docenti deciso dal Governo è una misura di buon senso. Anzi, una misura necessaria se davvero la priorità è la didattica in presenza. Su quest’ultimo punto tutte le forze politiche si dicono d’accordo, ma alcune si sono mostrate nei giorni scorsi meno propense a trarre le conseguenze pratiche da quell’assunto di principio. Quando è invece ovvio che la scuola potrà rimanere aperta soltanto se saremo in grado di contenere i contagi di Covid-19.
Ciò si può fare con le misure di prudenza che conosciamo da un anno e mezzo: dall’uso delle mascherine all’igiene delle mani e al distanziamento fisico (quest’ultimo, però, non sempre possibile, se i mezzi di trasporto sono affollati e le aule scolastiche troppo piccole). Ma ormai sappiamo che oggi l’arma principale per combattere la pandemia è la vaccinazione.
Tuttavia la scuola non è come un altro qualsiasi ufficio, in cui da una parte ci sono i lavoratori e dall’altra, magari divisi da uno sportello di vetro, gli utenti. La scuola è una comunità, in cui adulti e ragazzi sono fisicamente vicini per molte ore ogni giorno. Potrebbe diventare un luogo ancora più sicuro se la vaccinazione fosse estesa anche agli studenti. Quelli, naturalmente, per i quali i vaccini sono attualmente approvati, cioè dai 12 anni in su. Medie e superiori, insomma.
Ricordiamo che le superiori sono il segmento che ha più sofferto per le chiusure.
Non si è voluto estendere l’obbligatorietà del Green pass agli studenti, e si capisce perché. Ci sono stati nel mondo (e anche in Italia) casi di malattia grave da Covid-19 in bambini e adolescenti, ma grazie a Dio sono molto rari. D’altra parte, se la certificazione sarà necessaria per andare al cinema e in pizzeria o per prendere un treno, si immagina che le vaccinazione aumenteranno anche tra gli adolescenti.
Bene ha fatto, poi, il Governo a decidere l’obbligo di Green pass per gli studenti universitari.
Qui parliamo di maggiorenni, cioè di giovani adulti, pienamente in grado di autodeterminarsi. In questo tempo di pandemia i mass media hanno parlato tanto di scuola, meno di università. Eppure anche la vita degli studenti universitari è stata messa a dura prova. Nell’anno accademico ora conclusosi le università hanno optato per una didattica completamente a distanza oppure mista, a seconda delle varie fasi dell’emergenza pandemica.
Ora, in vista della ripresa di settembre, l’orientamento della maggior parte delle università è quello di tornare il più possibile alle lezioni dal vivo. Situazione dei contagi permettendo. Ma proprio per l’incertezza del quadro che ci attende, si pensa di mantenere anche la possibilità, per quegli studenti che lo vorranno, di seguire le lezioni da remoto. È una soluzione di saggio compromesso, che dà anche ai ragazzi che per qualche ragione dovessero scegliere di non vaccinarsi la possibilità di non essere esclusi. Diciamo però che all’università la frequenza non è meno importante di quanto lo sia a scuola.
Seguendo le lezioni a distanza, mancano due aspetti fondamentali dell’esperienza universitaria. La prima è la dimensione di dialogo intellettuale, che costruisce, alimenta, consolida, amplia il processo formativo nell’interazione con i propri compagni di corso. Per molti di noi le amicizie maturate negli anni dell’università si sono rivelate decisive per la vita, per il percorso professionale, per le scelte più importanti. E, seconda ma non meno basilare, la dimensione di esperienza personale ed esistenziale che andare all’università comporta, soprattutto per le matricole.
Trasferirsi in un’altra città, magari lontana da casa, conoscere altri giovani che provengono dai luoghi più diversi e dai contesti più disparati, imparare a cavarsela da soli nelle incombenze quotidiane sono quelle piccole, grandi cose che ti fanno crescere. Speriamo per questo che le lezioni a distanza rimangano – anche all’università, come a scuola – davvero l’extrema ratio. La soluzione eccezionale a una situazione eccezionale, e non un facile accondiscendere alla scelta miope e, a volte, egoista di chi decide di non vaccinarsi.