La persecuzione dei cristiani nel mondo è un tema che non consente disattenzioni o false speranze. Lo dimostra, purtroppo, anche l’attentato suicida contro la cattedrale di Makassar sull’isola di Sulawesi, in Indonesia, per il quale abbiamo comunque tirato un grande sospiro di sollievo. Poteva essere una strage. Molti feriti tra i fedeli, vittime dell’esplosivo solo gli attentatori.
Proprio il caso di Makassar, però, deve farci riflettere. Intanto il jihadismo armato mantiene intatte alcune micidiali capacità operative. Per esempio, quella di reclutare persone insospettabili, ma già infettate dal virus del fanatismo. In Indonesia hanno colpito due giovani quasi insospettabili: tra i 23 e i 26 anni, sposati da poco, con discreti impieghi nel settore privato. Secondo la polizia locale, avevano confezionato gli ordigni (pentole a pressione, esplosivo e chiodi) seguendo le istruzioni di terroristi più esperti, a loro volta addestrati all’estero.
Che operi in Asia, Europa o Medio Oriente, non siamo ancora riusciti a spezzare questa catena di trasmissione. Constatazione ancor più triste se pensiamo che i kamikaze di Makassar erano aggregati a Jemaah Anshorut Daulah, gruppo islamista ben noto per la sua crudeltà: nel 2018 due famiglie di kamikaze, portando con sé anche dei ragazzini, si fecero esplodere tra i fedeli di una chiesa a Surabaya, uccidendo una dozzina di fedeli. I due forse erano in relazione diretta con uno degli attentatori che nel 2019 uccisero 23 persone presso la cattedrale di Nostra Signora del Carmelo nella provincia di Solu, nelle Filippine.
L’altro aspetto è proprio quello delle false speranze. L’Indonesia è il più popoloso Paese a maggioranza islamica del mondo. 275 milioni di abitanti in cui, però, i cristiani sono una corposa minoranza, oltre il 10%. Da due anni, pur tra difficoltà e abusi, non si registravano attentati contro le chiese. E nel febbraio 2020 il presidente Joko 'Jokowi' Widodo, con un’energia che non gli è abituale in questo campo, aveva preso posizione ordinando ai Ministeri competenti e alla polizia di intervenire contro ogni forma di intimidazione a sfondo religioso.
Le circostanze consentirono a Widodo, allora, una postura super partes utile contro le frange islamiste: c’erano appena stati disordini per il restauro di una chiesa cattolica nell’isola di Riau a maggioranza musulmana, ed episodi analoghi per una moschea nella città a maggioranza cristiana di North Minahasa, sull’isola di Sulawesi. Ma non c’era e non c’è paragone tra gli uni e gli altri, soprattutto perché le autorità locali, in maggioranza musulmane, spesso si fanno beffe del Governo centrale. Se poi ricordiamo che il Ministero degli Affari Religiosi è riuscito nell’impresa di affidare per sei mesi la Direzione generale per i rapporti con i cattolici a funzionari musulmani, scusandosi poi per l’errore e nominando un cattolico, abbiamo ben compreso il clima.
Nessuna distrazione quindi è concessa, nessuna illusione. La persecuzione dei cristiani nel mondo, anche nei Paesi dove sembra farsi meno accanita, resta una realtà. E basta poco per riaccenderla, essendo intatte o quasi molte delle peggiori capacità dell’islamismo armato.
Non dobbiamo infine dimenticare che, su questo fronte, è intervenuto un fatto nuovo, capace di spostare molti equilibri: l’opera di papa Francesco nel gettare ponti di dialogo verso il mondo musulmano. Dopo le aperture all’islam sunnita (sino al Documento sulla fratellanza umana firmato il 4 febbraio 2019 con Ahmad al-Tayyeb, il grande imam della moschea di Al-Azhar), è arrivato il viaggio in Iraq e l’incontro con Alì al-Sistani, prestigioso esponente dell’islam sciita. E la dichiarazione dell’ayatollah, nella città santa di Najaf: «I cristiani, come tutti i cittadini iracheni, devono vivere in pace e in sicurezza».
Noi occidentali non conosciamo, e soprattutto non viviamo, i meccanismi interni del mondo musulmano per sapere che cosa tutto questo stia provocando, quali siano le reazioni sotto la superficie e dove queste possano scaricarsi. Reazioni positive, magari dove non le aspettavamo: a Mosca è stata da poco presentata la traduzione in russo della lettera enciclica Fratelli tutti, voluta e realizzata dalla Direzione spirituale dei musulmani russi e curata dall’International Muslim Forum. E forse anche reazioni negative, organizzate per allargare antiche divisioni, e provocare nuove violenze dove invece speravamo che le cose stessero migliorando. Come in Indonesia.