sabato 29 novembre 2008
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Veramente in Sicilia qualcosa sta cambiando. A Carini, in provincia di Palermo, alcuni mafiosi che, dal 1973, riscuotevano il pizzo sono stati arrestati, e non solo per la sagacia delle forze dell'ordine, ma perché gli imprenditori che ne erano vittime, finalmente, hanno parlato. E questa volta sono stati in nove. Finora era accaduto, di tanto in tanto, che qualcuno rompesse la legge dell'omertà. Ma erano casi isolati e, proprio per questo, più esposti alle rappresaglie della criminalità organizzata. Perciò era necessario un coraggio che spesso veniva pagato a caro prezzo, anche con la vita, come nel caso di Libero Grassi, barbaramente assassinato dalla mafia per avere denunciato i tentativi di estorsione. Da quell'epoca qualcosa è accaduto, e il processo che si è innescato sembra ormai irreversibile. Per restare onesti, in Sicilia, non è più necessario essere degli eroi. Fra Libero Grassi e i nove imprenditori di Carini che hanno denunciato i loro estortori il tempo non è trascorso invano. Uno dei fattori decisivi è stata l'iniziativa dei ragazzi di "Addiopizzo", quel pugno di giovani che nel 2004, forti soltanto della loro indignazione e della loro coscienza civile, hanno dato inizio a Palermo a un movimento destinato a trovare non solo consensi, ma anche sempre maggiori adesioni e sostegno da parte del mondo degli imprenditori e dei commercianti. Che il pizzo fosse una piaga, lo si sapeva da sempre. Ma per la prima volta qualcuno lo ha messo all'ordine del giorno come un problema fondamentale, su cui si giocano le sorti della partita con la mafia. Si è cominciato finalmente a capire quale danno ne venisse per tutta l'economia siciliana. Ed è diventato sempre più chiaro a molti che il bene e l'utile non sono in contrasto e che la legalità è una condizione imprescindibile dello sviluppo. Così, su questa linea, Confindustria Sicilia ha deciso di espellere tutti i suoi membri collusi con la mafia sia pure soltanto col silenzio. E nel 2007 è nata a Palermo, in un affollatissimo teatro cittadino, la nuova associazione antiracket "Libero futuro", grazie al cui sostegno i nove imprenditori di Carini hanno trovato il coraggio di parlare. Certo, via via che si procede su questa strada, si scoprono retroscena che impressionano. Viene progressivamente alla luce quell'ampia "zona grigia" costituita da commercianti, costruttori, professionisti, che, senza essere personalmente mafiosi, hanno fiancheggiato in questi anni Cosa nostra e le hanno fornito il brodo di coltura nel quale essa ha potuto sempre rinnovarsi e sopravvivere ai colpi inferti dalle forze dell'ordine. Vengono alla luce i silenzi, le omissioni, le ambiguità della classe politica e le responsabilità di una pubblica amministrazione che non sempre garantisce al cittadino la trasparenza e il rispetto dei suoi diritti, costringendolo a farli diventare, spinto dalla necessità, richiesta di favori. E i favori, si sa, devono essere prima o poi ricambiati" La strada è segnata: si tratta non solo di reprimere, ma di educare; non solo di arrestare (anche se questo è necessario), ma di recuperare il senso del bene comune e della legalità; non solo di minacciare, ma di ristabilire la fiducia nelle istituzioni. La criminalità organizzata sarà sconfitta definitivamente solo quando non potrà più contare su quel tacito consenso che le ha permesso " e ancora in parte le permette " di mimetizzarsi all'interno della società civile e di esercitare sul territorio un controllo capillare, a cui il cittadino ha a volte la sensazione di non poter sfuggire. Per questo bisogna rallegrarsi, più che della pur brillante operazione dei cabinieri di Carini, del fatto che essa sia nata da una collaborazione di persone che non portano una divisa né ricoprono la carica di magistrati. Di persone qualunque, che a un certo punto si sono rese conto di non poter più accettare l'assurdo sopruso del pizzo. Perché in loro si possono, da oggi, riconoscere tutti i siciliani che hanno nostalgia di essere finalmente uomini liberi.
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