L’intercettazione che semina scompiglio nel Paese per mezza giornata non c’è. O almeno, per citare la Procura di Palermo e i Carabinieri del Nas, «non risulta» agli atti dell’inchiesta interessata. Questa ancora dovevamo vederla, nella pur lunga e movimentata vicenda del rapporto giustizia-politica-informazione. Una vicenda più che ventennale, se la si fa partire da Tangentopoli. E sì che di episodi discussi e discutibili ce ne sono stati. Ma l’intercettazione che «non c’è» (meglio, che «non risulta») eppure ferisce e scassa segna indubbiamente un salto di qualità, se così si può dire, anche in questa sconfinata casistica. Forse, per comodità e chiarezza, è bene distinguere ciò che è sicuramente accaduto da ciò che potrebbe essere accaduto. Di certo c’è che un settimanale a diffusione nazionale ha dato notizia di una telefonata tra il presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta e il suo medico personale Matteo Tutino (agli arresti dal 29 giugno per una serie di accuse), nel corso della quale quest’ultimo avrebbe detto che l’allora assessore siciliano alla Salute Lucia Borsellino andava «fermata, fatta fuori come suo padre». Ovvero come Paolo Borsellino, il magistrato antimafia ucciso da "cosa nostra" in via d’Amelio il 19 luglio del 1992 con i componenti della sua scorta. Una frase alla quale - si legge nell’articolo - Crocetta non avrebbe replicato, rimanendo in silenzio. Una tale enormità, un insulto alla memoria di un martire civile di questo Paese non poteva passare sotto silenzio, seppure filtrata con i soliti metodi che contraddistinguono il tritacarne mediatico delle intercettazioni. È perciò venuto giù un diluvio (giustificato, stando così le cose) di indignazione, a partire dalle più alte cariche dello Stato. Tutti hanno espresso il loro sdegno ed espresso solidarietà a Lucia Borsellino.Ora c’è da dire che i conoscitori della complessa e spigolosa realtà siciliana assicurano che la solidarietà all’ex-assessore, dimessasi il 30 giugno scorso (proprio in seguito all’arresto di Tutino), è comunque più che giustificata. Ma non è questo il punto. Il punto è l’intercettazione perché - sempre restando a ciò che sicuramente è successo - dopo qualche ora di putiferio, con relativa autosospensione di Crocetta da governatore e le sue lacrime al telefono debitamente registrate e pubblicate sul sito di un quotidiano, il procuratore di Palermo ha spiazzato tutti: agli atti la conversazione dello scandalo «non risulta trascritta».Ed eccoci nel campo scivoloso delle ipotesi, Si è trattato di un infimo caso di killeraggio politico-mediatico con la diffusione di una "polpetta avvelenata"? Oppure, come ribatte il settimanale che l’ha pubblicata, l’intercettazione esiste ma si trova in un fascicolo «segretato»? La domanda delle domande, a questo punto, diventa un’altra: com’è possibile che un atto talmente segreto da «non risultare» nemmeno all’ufficio giudiziario che lo ha disposto finisca in copertina e poi, inevitabilmente, faccia il giro dei siti, delle tv, dei giornali, rimbalzi nei palazzi delle istituzioni, provochi conseguenze politiche?È evidente che, nel caso specifico, qualcuno non la racconta giusta o non la racconta tutta. Ma, tolto il "giallo" della cui singolarità abbiamo già detto, resta il problema della diffusione a raffica delle intercettazioni. Sono di qualche giorno fa quelle tra un generale della Guardia di Finanza e l’attuale presidente del Consiglio, allora sindaco di Firenze. In passato, tante altre volte, conversazioni anche non penalmente rilevanti sono diventate di pubblico dominio e hanno scosso le istituzioni dalle fondamenta. Una riforma che freni questa palese turbativa degli equilibri democratici appare sempre più irrinunciabile. Su queste colonne lo scriviamo da anni, purtroppo invano. Non è questione di limitare la libertà di stampa, di cui siamo fieri difensori. E ancor meno di ostacolare la giustizia, che è un bene sacro. Come continua a ricordarci l’articolo 15 della Costituzione, è questione di diritto e di civiltà.