Il confronto al vertice europeo di settimana scorsa sul Recovery Fund è stato caratterizzato da un 'duello' tra i governi di Italia e Olanda sulla quantità delle risorse da mettere a disposizione e sulle modalità di utilizzo dei fondi. Per comprendere meglio come questo dibattito è stato vissuto dall’opinione pubblica nei rispettivi Paesi ospitiamo, accanto allo sguardo italiano, un’analisi dal 'fronte' olandese a cura di Jan Van Benthem, editorialista di Esteri del Nederlands Dagblad, quotidiano con il quale Avvenire ha avviato un rapporto di cooperazione giornalistica.
La scorsa settimana il premier olandese Mark Rutte è andato a Bruxelles con una missione ben precisa: «Non cedere e soprattutto non regalare denaro». È stato questo il mandato che la Camera dei deputati olandese ha affidato al primo ministro. Al massimo un prestito a condizioni agevolate, purché rigide. Rutte ha condiviso questa linea, nutrendo anch’egli una buona dose di sfiducia riguardo la possibilità che i Paesi mediterranei fossero disposti a varare riforme con i soldi eventualmente messi loro a disposizione, ad esempio riforme del sistema pensionistico. Tuttavia c’era, e c’è ancora, sia in Parlamento sia tra la popolazione, una maggioranza che ritiene giusto aiutare i Paesi più colpiti dal coronavirus, in particolare l’Italia. Molti olandesi conoscono l’Italia, perché vi sono stati in vacanza, o dai racconti di altri che l’hanno visitata e che la descrivono come un Paese meraviglioso, scrigno di millenni di storia europea.
Da quei racconti trapela anche un pizzico di gelosia: l’Italia è cultura sofisticata, design, oggetti pieni di fascino, tentazioni. Ma il Paese è sinonimo anche di evasione fiscale, di frode, di mafia, di divisione politica e di un enorme debito pubblico. Da una indagine su un campione di 1.600 elettori olandesi condotto alla vigilia del vertice europeo emerge un doppio atteggiamento: di solidarietà e di desiderio di aiutare, da una parte, ma anche di 'una dose di sfiducia' dall’altra. Il 70% degli intervistati si ritrova in questa affermazione: «I Paesi Membri dell’Unione Europea devono essere solidali tra di loro». Ma praticamente lo stesso numero di intervistati, il 72%, concorda con la seguente affermazione: «Gli Stati Membri dell’Unione Europea che ricevono denaro dalla Ue dovrebbero restituire totalmente quanto ricevuto».
Perciò, dal punto di vista politico, il premier Rutte non poteva far altro che opporsi allo stanziamento di 500 miliardi di euro a fondo perduto, previsto dalla bozza europea. In sostanza se il vertice fosse fallito a causa delle severe condizioni dettate dall’Olanda, per il suo partito, il Vvd, sarebbe stato un insuccesso. Tuttavia, uno stanziamento a fondo perduto di tale importo sarebbe stato ancora peggio. L’atteggiamento quasi dogmatico dell’Olanda su questo punto non dipende tanto dal Paese in questione. Se si fosse trattato del Belgio o della Francia, sarebbe stata la stessa cosa. Questo approccio, infatti, è una conseguenza del nuovo 'credo' olandese, che si applica universalmente.
Dal 2018 meno della metà degli olandesi si definisce 'religiosa'. Già nel 2016 un sondaggio aveva rilevato che l’82% non si reca quasi mai in chiesa e che solo il 14% crede in un 'Dio personale'. Molte persone credono che ci sia 'qualcosa', ma non sanno bene cosa. Tuttavia, nella vita di molti olandesi (e non solo nella loro) esiste ormai una concreta, tangibile realtà cui aggrapparsi: l’euro. E proprio l’euro, o meglio ancora il denaro in genere, è diventato la religione del nostro tempo, come spiegava già l’anno scorso il filosofo e teologo olandese Gerko Tempelman. Per questo motivo l’Olanda resta così attaccata al denaro, come ha titolato anche il quotidiano 'Nederlands Dagblad'. «Dal denaro noi traiamo la nostra sicurezza e la nostra speranza» scriveva Tempelman. Questo spiega la dicotomia degli elettori olandesi. «Certo che vogliamo aiutare l’Italia e gli altri Paesi – sembrano pensare –. Ma non regalando denaro. Perché questo è peccato!».
Questo sentimento è stato rafforzato dalle enormi cifre in gioco: un fondo di assistenza, anche detto eufemisticamente 'sussidio', di 750 miliardi, di cui la prima fetta a fondo perduto era di 500 miliardi. Il partito di coalizione D66, intercettando questo malcontento, ha provato a rincuorare gli animi quantificando l’esborso: «Tutto sommato è il costo di quattro caffè a testa all’anno» per ogni olandese. «Caffè molto cari, da classe privilegiata», è stato osservato. E così il D66 ha ottenuto l’effetto contrario. Già, perché questo è il secondo motivo per cui gli olandesi si oppongono a regalare denaro. La classe agiata, infatti, negli ultimi anni si è arricchita notevolmente. Mentre per la classe media e di sicuro per l’esercito di cosiddetti 'flexwerkers', i lavoratori flessibili senza contratto fisso, acquistare una casa è diventato impossibile, soprattutto nelle grandi città.
Gli olandesi infatti, anche se guadagnano più di molti concittadini europei, hanno comunque un potere d’acquisto più basso. Nonostante tutto, il paragone del caffè usato dal D66 è stato un buon tentativo per estrarre la spina dogmatica dal dibattito: tradurre in spesa per singolo olandese la somma finale di 390 miliardi di euro di sussidi, ha permesso a un dibattito astratto di diventare tangibile e alla portata di tutti. Il calcolo che il professore Harald Benink dell’Università di Tilburg ha fatto per un programma del canale tv 'Nos' mostra che lo stanziamento a fondo perduto di 390 miliardi si traduce in 780 milioni all’anno per le tasche degli olandesi. Da questi si possono sottrarre gli sconti per i contributi Ue e la parte più grossa delle tasse doganali, che l’Olanda può trattenere. Restano esattamente 18,86 euro a testa l’anno.
La maggior parte degli olandesi avrebbe pagato volentieri questa cifra per gli italiani, i greci, gli spagnoli e gli altri concittadini europei che sono stati colpiti gravemente dalla crisi. L’errore del governo e dei media è stato di non presentare ampiamente a politici ed elettori, prima del vertice Ue, questo calcolo. Il 'dogma' olandese che riguarda il denaro sarebbe stato sciolto ben prima e molte parole dure si sarebbero potute evitare. Fortunatamente anche Rutte, alla fine, ha ritenuto più importanti la solidarietà tra le democrazie europee e il sostegno alle popolazioni colpite, rispetto alla sua personale lista di richieste. Ora non resta che sperare – e vigilare – che gli aiuti vengano utilizzati in modo giudizioso, così che, in caso di un eventuale nuovo dibattito, vi siano meno sfiducia e meno discussioni.
Nederlands Dagblad