Caro direttore,
Eve of Destruction fu, a metà degli anni 60, la canzone- simbolo di Barry McGuire sull’inutilità della guerra, di qualunque guerra, di denuncia dell’esplosione del mondo nelle mani delle potenze nucleari e dell’assurdità di sistemi che mandavano a combattere ragazzi di diciotto anni «abbastanza grandi per uccidere ma non abbastanza grandi per votare».
Quasi sessant’anni dopo, l’umanità torna a dilaniarsi e il mondo rischia nuovamente di esplodere nelle mani delle stesse potenze che possedevano armi nucleari nel 1965; Stati che, per ora, hanno inutilmente aderito al Trattato sulla non proliferazione nucleare ( Tnp), Stati che non hanno aderito, Stati con armi nucleari non dichiarate (o in costruzione) e Stati alleati di potenze nucleari. Si calcola che nel mondo ci siano oggi oltre quindicimila ordigni atomici la cui esplosione contemporanea, se organizzata in modo da colpire in tutte le aree del pianeta, causerebbe la distruzione dell’umanità.
E ogni conflitto in cui una potenza nucleare è implicata rappresenta una minaccia non sottovalutabile. Il gran numero di guerre che hanno insanguinato la Terra dal 1945 a oggi e che nella maggior parte dei casi sono rimaste all’interno di una ben delimita area regionale possono, infatti, espandersi e coinvolgere potenze con ambizioni extra-regionali o mondiali. In questo scenario si colloca l’aggressione della Russia all’Ucraina. L’estensione del confitto al di fuori del territorio ucraino fa parte della evoluzione possibile se non probabile della guerra in atto sia perché sul terreno abbiamo assistito fin dall’inizio (e anche prima del 24 febbraio) a una situa- zione militare di cobelligeranza di diverse nazioni da una parte e dall’altra sia perché resta immutata la volontà di Vladimir Putin di ricostruire pezzo dopo pezzo la 'grande Russia'.
Poiché non è né militarmente né politicamente immaginabile una vittoria totale della Russia e una sua conquista dell’intera Ucraina e poiché la Russia ha ribadito che non accetterà mai che la regione del Donbass si trasformi in una regione autonoma all’interno dell’Ucraina secondo il modello italiano dell’Alto Adige o Sud-Tirolo, la strada del compromesso potrebbe passare teoricamente dal modello applicato nel 1953 con l’accordo di armistizio coreano all’altezza del 38mo parallelo, sapendo tuttavia che da allora in poi non è stato mai firmato un trattato di pace e che la guerra fredda in quella regione non è mai finita.
Al contrario della Corea del Nord e della Corea del Sud, Stati totalmente indipendenti, la prospettiva dell’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea renderebbe invece inevitabile l’attribuzione alla stessa Ue del ruolo di controllo sulla smilitarizzazione del confine fra l’Ucraina e il Donbass mettendo sotto la responsabilità della difesa e della sicurezza europea la frontiera fra l’Ucraina e la Russia e il transito della Russia verso Kaliningrad. Probabilmente, lungo questa strada, si finirebbe al riconoscimento del pieno controllo russo sulla Crimea. La stessa questione si pone in tempi più immediati per quanto riguarda la protezione di tutta la frontiera della Ue verso la Federazione Russa ai confini della Finlandia, dell’Estonia, della Lettonia e, un domani, della Georgia così come del controllo nel Mar Nero avviando, se necessario, una cooperazione strutturata permanente per assicurare la difesa di quei confini anche dal punto di vista della lotta alla criminalità organizzata, del governo dei flussi migratori e commerciali e integrando la 'bussola strategica' adottata dal Consiglio europeo in una dimensione sovranazionale- federale, che escluda il potere di comando militare e di decisione politica dei singoli Stati della Ue che confinano con la Russia.
Da ultimo, ma non per ultimo, si porrà a breve la questione dell’integrità territoriale e della inviolabilità della Bosnia Erzegovina di fronte alla minaccia di secessione della regione serbo-bosniaca che coincide non casualmente con la fine del mandato dei Caschi Blu dell’Onu e con l’annuncio del veto della Russia in Consiglio di Sicurezza e alla crescente vendita di armamenti della Federazione Russa alla Serbia. Anche nei Balcani occidentali si pone dunque la questione del ruolo della 'bussola strategica' della Ue, se dovranno essere fatti concreti e ulteriori passi in avanti sulla via di una vera difesa comune europea, partendo dalle strutture già esistenti con il Trattato di Lisbona nel quadro di una ripresa delle prospettive di allargamento verso quella regione, che non debbono essere schiacciate dall’accelerazione bellica del dialogo con i Paesi dell’Europa orientale.
Tutte queste questioni sono parte delle priorità strategiche che la Ue dovrà mettere sul tavolo di una nuova Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, evocata dal presidente della Repubblica italiana e sollecitata più volte dal Movimento europeo insieme al rilancio della cooperazione fra la Ue e i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (Mena). E dovranno far parte dell’agenda della futura Comunità geopolitica europea nella prospettiva di un processo di integrazione differenziata i cui contorni emergeranno durante la fase costituente da avviare con la prossima legislatura europea.
Presidente del Consiglio italiano del Movimento Europeo