sabato 8 giugno 2024
La Chiesa è in festa da Nord a Sud per i nuovi sacerdoti. Ma rispondere a una chiamata (e alla chiamata dell'amore sulla nostra vita) è un'esperienza che ci riguarda tutti. I preti ne sono il segno
Alcuni amici e giovani festeggiano un novello sacerdote dello scorso anno

Alcuni amici e giovani festeggiano un novello sacerdote dello scorso anno - Fotogramma

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Nella chiesetta di mattoni di una piccola parrocchia della bassa novarese, piantata in mezzo a risaie, canali e pioppeti, il parroco annuncia il suo trasferimento: ha chiesto di potersi avvicinare ai genitori e così a settembre ci sarà un normale avvicendamento. La commozione nella piccola comunità è tanta, perché è evidente come quel prete che la domenica indossa ancora la tonaca nera, così rigoroso nello svolgere i suoi compiti, preciso nelle celebrazioni, ma anche accogliente e sorridente, attento alle persone, capace di parlare guardando negli occhi i fedeli che ha davanti, sia riuscito a creare un legame forte, cuore a cuore, con la “sua” gente. Anche se in realtà quegli adulti, quegli anziani, quei ragazzi non sono “suoi”, sono piuttosto parte della comunità, costruita grazie alla voglia di ognuno di mettere a disposizione degli altri la propria specifica vocazione.

Perché la vocazione non è solo “roba da preti o da suore, o da frati”, ma è un’esperienza che tutti facciamo giorno dopo giorno: un seme della presenza di Dio nella vita di ognuno. I preti sono uno dei segni più evidenti di questa dimensione comune, sono il volto di un’alterità che ci accompagna nelle nostre sfide quotidiane, che ci sta accanto davanti alle ferite e che ci anima davanti ai successi. Quella dei preti, insomma, è una delle tante vocazioni grazie alle quali la vita divina si fa presente nella storia. E in questi giorni, durante i quali molte diocesi fanno giustamente festa ai propri preti novelli, ai giovani e meno giovani che, con l’imposizione delle mani dei loro vescovi, accedono al secondo grado del sacramento dell’ordine, quello del sacerdozio appunto, forse un po’ tutti dovremmo approfittare per chiederci se nella nostra vita stiamo dando forma alla vocazione che Dio stesso ha messo nel nostro cuore. Sì, perché è il cuore in realtà il centro motore della nostra vita, perché da lì viene ciò che ci avvicina di più a Dio: la capacità di amare. Ce lo ricordano bene le due importanti ricorrenze liturgiche di questi giorni: il Sacro Cuore di Gesù, celebrato ieri, e il Cuore di Maria, che si festeggia oggi. Ce lo ricorda sempre la Prima Lettera di Giovanni: Dio è amore.

Ecco perché l’unico augurio che possiamo fare ai nuovi sacerdoti è che sappiano davvero metterci il cuore in ciò che fanno e che il loro cuore sia riflesso di quello di Dio, un cuore capace di amore. E noi come possiamo aiutarli in questo? Amandoli a nostra volta, così come sono, anche con i loro difetti, gli errori che, come tutti, commetteranno, con i loro carismi e le loro capacità, la loro storia e anche la loro famiglia. E smettiamola di proiettare su di loro le nostre aspettative, l’idea tutta nostra di come vorremmo la Chiesa. Facciamoci piuttosto una domanda: se Dio ha chiamato queste persone, con le loro storie diversissime, magari lontane da tutti i cliché e percorsi standard, come ci sta chiedendo di costruire la Chiesa oggi? Certo i preti non sono i nostri “supereroi” ma a loro è affidato un compito prezioso e unico, sono i custodi del segno più forte della presenza di Dio, l’Eucaristia: allora proviamo a partire dalle loro storie per ascoltare la voce di Dio.

È un po’ questo il senso anche di quello che papa Francesco ha detto ai membri del Dicastero per il clero ricevuti in udienza giovedì: attorno ai preti facciamo rete, non lasciamoli soli, prima di tutto perché così loro crescono, cresciamo tutti assieme, e poi perché così scopriamo che la crisi delle vocazioni, non è la crisi del sacerdozio, ma la difficoltà oggi sempre più marcata da parte di tutti di sentirsi “chiamati”. E allora diciamo grazie ai nostri preti novelli, perché anche solo arrivando all’ordinazione, con tutte le difficoltà che hanno sperimentato e che solo loro conoscono, sono già un segno di provocazione. Lo sono per il mondo, che ancora oggi vede nella consacrazione un’inutile “rinuncia”, ma lo sono ancora di più per i cristiani, per la Chiesa intera, che nei loro occhi è chiamata a cogliere la sorpresa di un Dio che ci raggiunge anche nei luoghi più remoti e nei momenti in cui mai ci saremmo aspettati di trovarlo: nella campagna tra le risaie, in mezzo ai palazzi delle città, dentro un amore che nasce o davanti alle perdite dolorose. Diciamo grazie ai nuovi preti per essere ancora oggi segno di un’alterità che non è mai stata e continuerà sempre a non essere riconducibile ai nostri schemi, alle nostre logiche. Grazie per ricordarci che l’ultima parola ce l’ha sempre Dio, un Dio che è puro e semplice amore infinito.


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