Fuori la carne dal piatto. Non per scelta gastronomica ma per salvaguardia
sanitaria. Proprio in concomitanza con la chiusura di Expo Milano 2015
ha suscitato allarme un articolo pubblicato sulla rivista Lancet Oncology
dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), un organismo
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità con sede a Lione. L'analisi sistematica
di oltre 800 studi epidemiologici pubblicati sull'argomento ha portato
alla conclusione che le carni lavorate (quelle salate, essiccate, affumicate
e trattate con conservanti per migliorarne il sapore o la conservazione,
come nei salumi, nelle salsicce e nei wurstel) sono sicuramente cancerogene
per l'uomo, causando i tumori del colon e dello stomaco. Anche le carni
rosse (quelle di manzo, di vitello, di maiale, di cavallo, di agnello,
di capra) possono facilitare l'insorgenza dei tumori del colon, del pancreas
e della prostata. Un verdetto sconcertante, che interessa direttamente
milioni di consumatori. Inevitabili le preoccupazioni e le discussioni.
Mangiare carne nuoce dunque alla salute? «Per una persona il rischio
di sviluppare il cancro del colon-retto a causa del consumo di carne rimane
basso se non si esagera con la quantità», ha precisato Kurt Straif, capo
dell'équipe di studiosi che ha pubblicato la ricerca, aggiungendo però
che «in considerazione del gran numero di persone che nel mondo ogni giorno
mangiano carne, in termini epidemiologici l'impatto globale sull'incidenza
dei tumori è decisamente importante». Il che vuol dire, in altre parole,
che la significatività statistica del rapporto tra assunzione di carne
e possibilità di sviluppare una lesione oncologica è molto alta. Si tratta
quindi di un rischio reale che deve far riflettere, con serenità e senza
esagerate e ingiustificate paure, sulla possibilità di rivedere - al ribasso
- le raccomandazioni alimentari sui limiti attuali all'assunzione di carne.
Questo è però un alimento che ha un alto valore nutrizionale. Nei bambini
le proteine di origine animale, quelle presenti appunto nella carne, sono
necessarie per un sano sviluppo. Quindi un paio di bistecche di manzo o
di vitello alla settimana possono essere tranquillamente inserite nel loro
regime dietetico. E' importante che siano accompagnate da verdura e frutta
in abbondanza, in modo da controbilanciare i possibili effetti negativi,
alternando inoltre questa fonte proteica all'assunzione di pesce e legumi.
Anche per i bambini e ancor di più per gli adolescenti deve invece valere
in modo più rigido la proibizione per le carni lavorate o cotte sulla griglia
(salumi, wurstel, hot dog, hamburger) che spesso, insieme ad altro cibo-spazzatura
(patatine fritte, maionese, bibite soft drink) eccessivamente ricco di
grassi e di zucchero, costituiscono il principale, se non unico, pasto
della giornata per molti giovani. Altrimenti resta elevata la possibilità
di produrre danni per la salute, non solo sotto il profilo oncologico,
ma più in generale per il rischio di sviluppare sovrappeso e obesità già
durante l'adolescenza e poi, in età adulta, malattie cardiache e diabete.
In parziale contrasto con le conclusioni a cui sono giunti gli studiosi
dell'Iarc, il consumo moderato di carne è ritenuto indispensabile da altri
studi medici, che sottolineano come essa sia fonte essenziale, oltre che
di proteine nobili, di acido folico e di altre vitamine importanti per
evitare l'anemia da carenza nutrizionale e altre gravi patologie del sangue,
svolgendo quindi un ruolo positivo sulla salute.
La carne ha inoltre
svolto anche un ruolo fondamentale nel processo evolutivo umano. «Mangiare
carne è stato uno dei fatti che ci ha resi 'uomini' perché le proteine
apportate con la carne - sostiene Charles Musiba, professore di antropologia
all'università di Denver in Colorado, - hanno contributo all'accrescimento
del nostro cervello». Da quando l'uomo ha iniziato ad abbandonare una dieta
fatta solo di bacche e di frutta in favore della carne è diventato più
intelligente. Mangiare carne gli ha permesso di disporre di maggiore energia
calorica, consentendogli di sviluppare facoltà che lo hanno progressivamente
differenziato dagli altri viventi. «Il cambiamento alimentare a favore
di una dieta carnivora, avvenuto 2,3 milioni di anni fa, ha rappresentato
uno dei fattori più significativi nell'evoluzione della nostra specie»
sostiene Leslie Aiello, antropologa e direttrice della Wenner-Gren Foundation
di New York. Col tempo il nostro intestino si è ridotto, perché non serviva
più avere un organo enorme (come lo hanno tuttora gli erbivori) per digerire
i vegetali. Questo ha consentito al nostro corpo di sviluppare maggiormente
altri organi, come il cervello, importanti nel determinare cambiamenti
vantaggiosi per la specie.
Questo ha, a sua volta, permesso di poter
svezzare (terminare l'allattamento materno) più precocemente, permettendo
alle donne di gestire una prole più numerosa, aumentando la probabilità
di sopravvivenza del gruppo. Anche la necessità di cacciare grosse prede
per il sostentamento alimentare contribuì a stimolare la creatività individuale
per la realizzazione di strumenti complessi e favorì l'aggregazione tra
famiglie e uomini diversi, ponendo le basi per la nascita della società
in senso moderno. Un ulteriore elemento di svolta fu l'introduzione della
cottura della carne, resa più gustosa e digeribile grazie a questa nuova
modalità culinaria. Sino a 1,9 milioni di anni fa l'uomo mangiava carne
cruda, dopo averla sminuzzata con lame di pietra, perché non aveva la capacità
di controllare il fuoco. L'alimentazione con carne cotta contribuì anch'essa
(secondo alcuni studiosi ancora più del passaggio da vegetariani a carnivori)
a far compiere alla specie umana un ulteriore importante grande balzo in
avanti. Se dunque la carne ha svolto un ruolo così importante nella nostra
storia evolutiva, favorendo il fatto di trasformarci in omnivori - e quindi
anche in carnivori -, cosa pensare e che fare allora di fronte alle affermazioni
degli scienziati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità?
Come sempre
bisogna usare il buon senso. Giovanna Caderni, farmacologa dell'università
di Firenze, uno dei due italiani (l'altro è Paolo Vineis, proveniente dall'università
di Torino e ora all'Imperial College di Londra) che hanno partecipato alla
stesura del rapporto dell'Iarc sui rischi oncologici legati alla carne,
ha un atteggiamento possibilista. «Non c'è motivo - dice - per scatenare
un allarme che porti a dire addio a bistecche e prosciutti. Bisogna usare
moderazione, perché il rischio di tumore legato al consumo di carne è molto
basso se paragonato a quello di altri agenti cancerogeni, come il fumo
di sigaretta ad esempio, e aumenta in proporzione alla quantità consumata».
Occorrono alcune semplici precauzioni. Oltre che limitare il consumo di
carne rossa fresca o lavorata a una o due volte alla settimana, è importante
scegliere prodotti "sani" e controllati. Quelli di animali che non provengano
da allevamenti intensivi, cibi freschi o di pronto consumo, non destinati
a essere mantenuti per lungo tempo, che non abbiano conservanti o ne abbiano
il meno possibile. Mangiare carne quindi si può, ma con giudizio e senza
esagerare, inserendola con criterio in una dieta varia, equilibrata e ricca
di prodotti vegetali, come lo è quella mediterranea.