Il cassonetto dove è stato trovato il corpo della neonata - Fotogramma
Sul cassonetto giallo della Caritas c’era un fagotto rosso. L’uomo che arrivava con una borsa di abiti usati dapprima lo ha guardato distrattamente. Poi, nella luce incerta delle otto di sera, ha visto: una mano molto piccola sbucava dagli stracci. Una manina di neonata, di quelle che i nuovi genitori contemplano con stupore, ancora increduli. Una di quelle manine che, se avvicini un dito, istintivamente lo stringono – come se dal principio fossimo fatti per fidarci dell’altro. Ma, quella piccola mano era immobile.
Milano, venerdì 28 aprile sera, via Botticelli, Città Studi, zona residenziale. L’urlo della sirena dell’ambulanza si interrompe bruscamente: la bambina è già morta. Ha il cordone ombelicale, tagliato malamente. È sporca di sangue, ma non ha alcun segno di violenza. Ha vissuto qualche minuto, o già non respirava quando è stata abbandonata? Una bambina apparentemente perfetta, partorita da pochissimo. Forse in un ospedale non sarebbe morta. La madre, ignota: una irregolare, una “invisibile” o, come li chiamano, una “clandestina”? O magari – succede – una figlia giovanissima, sola col suo segreto sotto ai vestiti extralarge?
La notizia, nella città presa dal torpore di un lungo weekend, suona come uno schiaffo. Quella piccola mano, e poco oltre le auto che correvano verso il mare, è una trafittura nel petto. Era una bambina.
Il cassonetto dove è stato trovato il corpo della neonata - Fotogramma
E tu hai ancora negli occhi la Milano di pochi giorni fa, del Salone del mobile e del Fuorisalone, invasa da una moltitudine di visitatori, in una babele di lingue. E dappertutto gente in fila per un “evento”, e happy hours dal pomeriggio a notte: calici alzati a brindare al design, al bello, al trendy. Pareva quasi una città felice il centro di Milano, giorni fa. Una metropoli pazza di eleganze leggere, spesso effimere, a volte futili.
Quel fagotto rosso riporta nella realtà dura di un’altra città, sotto al vestito che luccica. La bambina è stata lasciata non in un luogo qualunque, ma su un cassonetto con su scritto “Caritas”, parola che anche gli ultimi arrivati imparano presto, parola antica: carità. Non è stata buttata fra i rifiuti, ma deposta dove qualcuno l’avrebbe presto trovata. Era ancora viva? Nessuno dalle case accanto ha sentito piangere. Quante richieste di adozione ci sarebbero state per lei?
Perché il paradosso nostro è che i figli appena concepiti sono un niente legalmente eliminabile, e che i figli dei più diseredati possono perfino venire abbandonati, come è successo recentemente, anche in una scatola da scarpe davanti a un ospedale - come si fa con i gattini randagi. Eppure a Milano come in tutto l’Occidente tante coppie, che quei figli non riescono a averli, arrivano a comprarli all’Est, a farli partorire da una madre “in affitto” per decine di migliaia di euro. Quei figli che se non voluti sono un niente, per altri sono un sogno da ottenere a ogni costo.
La bambina di via Botticelli era sul crinale fra le due categorie: abbandonata col cordone ombelicale strappato male, ma quanto, fosse vissuta, desiderata da sconosciute madri, e padri, nella città che attorno a lei si accendeva di luci. Il paradosso taciuto fra noi è che se lo desideri è un figlio, spiato nelle ecografie col fiato in gola, o anche inseguito in Paesi lontani; altrimenti è un niente.
Oppure, è un “clandestino”, figlio di una che si nasconde, che non si fida e non chiede aiuto. Se non, quasi inconsciamente, in quell’ultimo lasciare una neonata proprio sotto la scritta “Caritas”. Carità. Come il palmo di una mano mendicante.
Proprio nessuno in questa Milano l’aveva vista, quella madre e il suo ventre al nono mese? E che città è questa, brillante, costosa, ricca, e poi tanto distratta, assente? Quella manina sporgente da un fagotto come in un’estrema richiesta d’aiuto, è uno strazio cui cercheremo di non pensare. E, invece, è una domanda: da tenere bene a mente.