Iran al bivio come il mondo
martedì 21 marzo 2023

Negli ultimi giorni due notizie, profondamente diverse fra loro, hanno riportato l’attenzione internazionale sulla Repubblica islamica dell’Iran. Da un lato, l’accordo a sorpresa, mediato dalla Cina, per la ripresa di rapporti diplomatici diretti di Teheran con il grande nemico nel Golfo, ossia l’Arabia Saudita.

Dall’altro lato, l’annunciato “perdono” di 22mila giovani che erano stati arrestati durante gli scorsi mesi di proteste popolari. Entrambe le notizie ci confermano che, a dispetto di anni di sanzioni, della profondissima crisi economica e delle laceranti tensioni interne, il regime iraniano mantiene una sua capacità di resistenza e un ruolo geopolitico e geoeconomico da non sottostimare.

In molti – e soprattutto negli Stati Uniti d’America – hanno cercato di ridurre l’importanza della ripresa delle relazioni fra i due giganti del Golfo mediata da Pechino; in un Occidente sempre più belligerante a causa della guerra riaccesa dall’invasione russa dell’Ucraina e che sembra aver nostalgia del vecchio mondo bipolare, in cui vi era un “Noi”, ossia i buoni, contrapposto a un “Loro”, ossia i cattivi, risulta difficile accettare che la Cina possa essere un attore globale che gioca un ruolo positivo, per di più in una regione come il Medio Oriente, percepita come se fosse ancora dipendente da Washington. Ma la realtà dei fatti è che Pechino ha saputo far parlare due potenze, la cui ostilità reciproca ha a lungo provocato danni e lutti in tutta la regione mediorientale, dall’Iraq al Libano, dalla Siria allo Yemen.

Dimostrando, ci piaccia o meno, come il sistema internazionale vada verso una pluralità di attori e di prospettive che lo rendono policentrico. Certo, fra Riad e Teheran le diffidenze e i nodi geopolitici rimangono tutti lì, ma far riavviare i rapporti diretti è un successo innegabile.

Per l’Iran, in particolare, significa anche depotenziare l’asse fra sauditi e Israele e, forse, ottenere qualche beneficio finanziario a breve termine, dato che le monarchie arabe del Golfo potrebbero iniettare risorse nella sua claudicante economia, che si dibatte fra pesanti sanzioni, storture interne e una enorme corruzione. Rimane da capire quale prezzo geopolitico il regime di Teheran sia disposto a pagare e quanto voglia moderare le milizie che in questi anni ha cresciuto e armato, ma è indubbio che la riapertura delle ambasciate ne riduce l’isolamento e lo fa uscire dall’angolo in cui le proteste interne l’avevano spinto per mesi.

Anche la seconda notizia, ossia il perdono accordato a decine di migliaia di giovani che erano stati arrestati, è ricca di significati. Ci conferma innanzitutto che il sistema di potere è riuscito, se non a spegnere, almeno a marginalizzare le proteste di massa che ne avevano scosso per mesi le sue fondamenta, mostrando l’enorme livello di esasperazione della popolazione e delle giovani donne in particolare. Lo ha fatto utilizzando i sistemi più orripilanti: dallo sparare sulla folla, alle torture – anche sessuali – sui giovani arrestati; dall’imporre il pentimento pubblico ai ricatti e alla minacce alle famiglie di chi dissentiva.

Ma la cifra dei cittadini amnistiati dimostra paradossalmente quanto diffuse siano state queste proteste e quanto esteso sia il rifiuto dei valori su cui si fonda l’ideologia pervasiva della Repubblica islamica. Un distacco così massiccio e profondo da far levare le voci di diversi grandi ayatollah di Qom, la città santa dell’islam sciita iraniano. Alcuni fra i religiosi più rispettati e meno coinvolti con la gestione del potere politico hanno sottolineato che un governo che rifiuta di ascoltare la parola dei giovani, incapace di dare benessere e lavoro, che allontana i suoi cittadini dalla religione invece di avvicinarli, non rispetta i “valori della rivoluzione”. Un avvertimento che la guida suprema Khamenei non può deridere o svilire come un “complotto dell’Occidente”, come è solito fare.

Mentre scriviamo queste note si celebra in Iran la grande festa di Nowruz, l’inizio del nuovo anno che coincide con l’equinozio di primavera: vedremo se l’anno che verrà porterà una politica più conciliante, sia dentro che fuori i confini, o se il sentirsi più sicuri renderà i governanti di Teheran ancora più arroganti.

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