Al mercato del sabato è tutto un interrogarsi sulle vacanze. Il green pass basta o no, mica vorranno il tampone, mica ci bloccheranno…Tra i banchi le donne si affollano sui grappoli di vestiti per il mare, coloratissimi - sembriamo api sui fiori, penso, e sorrido: si avverte in questa folla milanese la voglia di vivere che, nonostante ogni nuova variante, rimonta. E: partiamo quando, partiamo per dove? Grecia? Costa Azzurra? Austria?
Se un drone registrasse le voci delle nostre città del 31 luglio 2021, e le autostrade, e le stazioni dei treni, riporterebbe questo inquieto brusio, questo mix di apprensione e voglia di mare e di sole – ovunque, basta ci facciano partire. Sul web le notizie partono dagli ori di Tokyo, proseguono con i virologi, sembrano concludersi con la riforma Cartabia.
Ma se scendi ancora – ecoincentivi, spettacoli, gossip, e ancora più giù – trovi infine la foto di un fiume, e una piccola notizia: un bambino afghano di 5 anni è annegato mentre con la famiglia cercava, di notte, di varcare illegalmente il confine fra Bosnia Erzegovina e Croazia. Il fiume si chiama Una e nella foto è limaccioso e gonfio. Chi però, nella sfinente marcia di migliaia di profughi e migranti da Afghanistan e Pakistan attraverso Grecia e Balcani raggiunge quel fiume, sa che ce l’ha quasi fatta: Trieste è a 450 chilometri, l’Austria a pochi di più. E quindi intanto, e quindi nel frattempo che noi litighiamo sui pass o gridiamo alla legge liberticida, in quel medesimo momento fra le ultime colline della Bosnia un padre disperatamente decide: andiamo. Anche se il fiume è in piena, anche se è sorvegliato, e ha con sé cinque figli, e il piccolo ha 5 anni appena. Con la notte, si va. State vicini, raccomanda ai ragazzi, che forse stanno a galla appena, e si stringe addosso il bambino. Chissà che paura ha, il piccolo: come è nero il cielo e nera l’acqua, una mano fredda che ti agguanta. 'Coraggio', ripete a lui e agli altri il padre, coraggio, quasi ce l’abbiamo fatta. Ma d’improvviso la corrente gli strappa il figlio. Voci, grida straziate: quante volte lo chiama quell’uomo, il suo bambino? Lo trovano un’ora dopo, già pallido della morte. Come un passero intrappolato in una rete, come un passero che non ha neanche un nome, il bambino che dalla guerra infinita dell’Afghanistan da mesi camminava con i suoi, verso l’Europa, e in quella marcia è caduto. Un fiore su una fossa, il nome scritto a mano che sbiadisce, poi solo polvere. Ma i suoi fratelli più grandi, pensi, prima o poi lo passeranno, il fiume Una, prima o poi ce la faranno. Quattro stranieri che faticheranno a imparare il tedesco o il francese, che si abitueranno agli insulti razzisti, che sgobberanno per sopravvivere. Ma fra dieci anni saranno cittadini europei. Quattro ragazzi al posto di quattro nostri figli non nati: è legge, la natura aborre il vuoto. Nel portafogli quei quattro conserveranno per sempre la foto del fratello perduto.
Una piccola storia. Dal web scivola via in poche ore: intanto, nel frattempo dell’indaffarato nostro chiacchierare su zone gialle, Green pass, no-vax, mentre il Paese sembra tuttavia cominciare a riprendersi. Del piccolo inghiottito dall’acqua nera dell’Una, assolutamente uguale ai nostri bambini, non interessa a nessuno. Forse, dovrebbe. Nell’affanno ossessionato dal Covid sappiamo ancora vedere oltre? C’è una vita, centinaia di chilometri a Est o a Sud dei nostri confini, che disperatamente preme: vita che vuole vivere, e manda i suoi figli a occupare le nostre stanze vuote, e diventa Storia di un nuovo Occidente. Ancora un profugo è caduto, davvero molto piccolo, l’altra notte – quasi un dazio atroce. Non ce ne siamo accorti: cinque righe sul web, poco cliccate, cadute in basso, in una manciata d’ore scomparse.