Piangiamo la Basilica di San Benedetto. Piangiamo la Concattedrale di Santa Maria Argentea. Piangiamo la romanica chiesa di San Salvatore. Piangiamo chiese e chiesette, piccoli tesori di arte, storia e religiosità. Ma non piangiamo i morti. Il più forte terremoto d’Italia per potenza sprigionata da quello dell’Irpinia del 1980, non ha provocato morti. Ventisei anni fa la scossa di 6.8 gradi della scala Richter si portò via la vita di 2.914 persone. Quella di Amatrice del 24 agosto scorso, 6.0 gradi, altre 298. Dopo poco più di due mesi, a poche decine di chilometri, lungo lo stesso sistema di faglie, le scossa di 6.5 gradi ha provocato solo pochi feriti. Saremo ripetitivi ma questa è la conferma della frase che abbiamo scritto, purtroppo, tante, troppe, volte: «Non è il terremoto che uccide, ma la casa che cade addosso».
Qui, a Norcia le case si sono lesionate, molti muri sono venuti giù, ma le case non sono cadute addosso. Qui, come ci aveva detto fin da agosto un esperto dell’Ingv e come ci ha ripetuto ieri un tecnico dell’edilizia, la ricostruzione e la messa in sicurezza dopo il terremoto del 1997 «hanno funzionato». Dunque si può riuscire a non trasformare un disastro in una carneficina, danni anche gravi in lutti. Non solo nel citatissimo Giappone o in Cile, ma anche nei piccoli paesi dell’Appennino, cuore della storia, dell’economia, della cultura, delle tradizioni del Paese. Quante volte abbiamo sentito dire che "non è possibile", che "costa troppo", che "non funziona", che "non vale la pena". Tutti alibi per non fare. O per fare altro. Magari qualche inutile "grande opera" che arricchisce solo le solite grandi imprese, magari facilitata da mazzette per funzionari pubblici e anche clan mafiosi. L’ultima inchiesta delle procure di Roma e Genova è in questo senso preoccupante.
Invece serve la vera grande opera, fatta di tante piccole opere. Proprio come diligentemente hanno fatto a Norcia e in altri paesi umbro- marchigiani quasi venti anni fa. E con successo. Si può fare, davvero. E allora si deve fare, davvero. Subito. Un grande cantiere nazionale, ben progettato e finanziato. Senza lesinare col portafoglio. Non deve lesinare il governo non lo deve fare l’Europa. Ma un tale cantiere ha bisogno di una vera unità d’intenti e di lingua, tecnica e politica. La solidarietà 'emergenziale' già c’è. Ancora una volta l’abbiamo vista all’opera. Quel mare multicolore di divise del Sistema nazionale di protezione civile, fatto di volontari e uomini delle Forze dell’ordine, dei Vigili del fuoco, delle Forze armate. Un sistema che in questi mesi di ripetute e gravi scosse ha dato ancora una volta prova di umanità e efficienza. Cuore in mano e professionalità. Bravi. Qui non ci batte nessuno.
Ma ora serve il passo in più. E bene ha fatto ieri il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a ribadirlo. «Ci sono momenti in cui le divisioni politiche contano zero e si lavora tutti nella stessa direzione». Ed è bene che il leader del M5S, Beppe Grillo, dopo le inaccettabili frasi polemiche di una parlamentare 'stellata', abbia offerto la piena disponibilità del Movimento a sostenere le iniziative del governo. Così come ha fatto Forza Italia. Bene. Solo tutti insieme si può affrontare un dramma che è appena cominciato e che coinvolge probabilmente più di 100mila persone. Solo tutti insieme si può salvare, far risorgere case e vita nei paesi così duramente colpiti e affermare un 'modello' di tutela dei nostri patrimoni umani, culturali e storici. Solo tutti insieme si può finalmente mettere in campo e realizzare un vero e concreto piano per la messa in sicurezza del Paese. Solo tutti insieme si può, se servirà, alzare la voce coi burocrati Ue per ottenere quello che è giusto e sacrosanto. Non si tratta di avviarsi verso uno sterile unanimismo all’acqua di rose. Non di annullare le differenze, che ci sono ed è giusto ci siano. Significa sporcarsi le mani insieme, per nostri concittadini meno fortunati e perché – per quanto è in nostro potere – non ce ne siano più. Norcia ci ha dimostrato che si può fare, Norcia può indirizzare ancora meglio. Ora et labora, insegnava san Benedetto. Si può pregare anche da soli, ma il lavoro è incontro e condivisione. E serve lavoro comune, adesso. Insieme si può.