Gli hanno concesso una proroga. Qualche ora ancora, o qualche giorno, perché i genitori abbiano modo, come si dice, «di elaborare il distacco». Ma la strada di Charlie sembra comunque tracciata: un sentiero forzato, fra asettici protocolli medici e sentenze di alme Corti, che conduce alla morte. Sedazione profonda e sospensione dell’ossigeno a un bambino che da solo non respira. Ha una gravissima malattia genetica, è inguaribile, è la ragione addotta dai professori del Great Ormond Street Hospital di Londra. Inguaribile, forse, e però curabile. Charlie Gard, 10 mesi, è una creatura di cui finora ci si è presi cura, dandogli ossigeno, nutrendolo, idratandolo, non facendogli mancare l’affetto e la presenza dei suoi genitori. Ma adesso no, ora basta, è il verdetto in attesa di esecuzione. E non vogliamo pensare come si sentano quei giovani genitori, chini fino a oggi sulla presenza muta eppure viva del loro bambino, attenti al suo volto, ai suoi occhi. «Ci hanno abbandonati», hanno detto.
Li hanno abbandonati i medici e i giudici inglesi e europei, ma, temiamo, non solo. L’attenzione mediatica a questo dramma è quasi solo inglese – giacché inglese è il bambino – e italiana, con un notevolissimo sollevarsi sul web di una corale protesta, e non solo da parte cattolica. Ma se ieri mattina aprivi i siti on line di "Le Monde" e "Le Figaro", di "El Mundo" e "Die Welt", non trovavi una parola sul destino di Charlie Gard. C’era spazio per la Giornata degli asteroidi, ma non per il bambino di Londra.
Colpisce, questa indifferenza dell’Europa, incrinata qui e là da trepidanti veglie di preghiera, di fronte a due genitori che disperatamente hanno chiesto che loro figlio fosse lasciato vivere. Forse se, al contrario, quel padre e quella madre combattessero, come il padre di Eluana Englaro, perché la morte fosse data, allora il favore mediatico da Parigi a Berlino a Madrid sarebbe un altro. Perché oggi chiedere la morte per chi soffre o è in stato vegetativo suona come una affermazione di indipendenza e di libertà. Piace. Esiste, continuiamo purtroppo a doverlo annotare, un favor mortis, una preferenza al diritto di morire, in questo nostro Occidente.
Invece il papà e la mamma di Charlie volevano che il loro bambino vivesse. Così come può: legato a un respiratore, senza prospettive, a oggi, di guarigione e affidato a una costosa terapia sperimentale che la solidarietà e la generosità "dal basso" di tanti avrebbe reso possibile. Volevano tenerlo con sé: lasciare semplicemente che vivesse, accompagnato da tutti i possibili ausili della medicina. Non guaribile, quasi certamente, ma curabile, ma accompagnabile, non guaribile ma oggetto di attenzione e di amore. Il no dei medici però è perentorio, e dottamente confermato dai giudici. Perché tanta unanimità su una vicenda così estrema, così dolorosa? E perché la maggior parte dei media occidentali non ritiene ciò che sta accadendo in quella stanza di ospedale interessante per i suoi lettori?
Perché Charlie, agli occhi di certo Occidente, nello sguardo di quella cultura spesso denunciata dal Papa, è un condannato, o addirittura uno "scarto". La sua vita non sarà mai quella di un bambino nato sano, ed è molto costoso mantenerlo nel suo limbo dormiente, attaccato a macchine complesse, sorvegliato da medici e infermieri. Non si può, questa è la logica, spendere tanto per un bambino che non guarirà. Ma attenzione, è una logica che anche attraverso questo caso inavvertitamente si farà strada nei nostri ospedali, nei nostri gerontocomi. È una selezione dei sani basata sulle leggi dell’economia. Non ci si può permettere certi lussi dispendiosi. Si comincia con un bambino con una rarissima e grave malattia genetica. Poi in società sempre più vecchie si prenderà a valutare quanto costa tenere in vita certi handicappati gravi, i pazienti in stato di minima coscienza, e quelli perduti nell’Alzheimer.
Il bambino Charlie va a morire nel silenzio dei grande media europei. Come tacitamente arresi a un’evidenza: i più malati, i più deboli possono e devono essere scartati, addirittura per legge. Si parli, dunque, della Giornata degli asteroidi, o del progresso avanzante, con i matrimoni omosessuali in Germania.
Certe questioni penose conviene metterle in un angolo. Chissà, sennò, che la gente cominci a pensarci. L’Europa che non si cura di Charlie è la stessa del resto che non si occupa delle migliaia di donne, uomini e bambini che annegano nel Mediterraneo. Che chiude gli occhi. In questo l’Italia, la povera Italia, è un’eccezione. Per come salva i migranti in mare, per come si solleva sul web contro la morte di Charlie. Quasi, si direbbe, nell'eco di una memoria che, per quanto si voglia disperderla, non si annienta facilmente.
Una memoria dentro la quale, da noi, ancora si trema al pensiero di quella iniezione di sedativo, di quel respiratore staccato dalla bocca di un bambino, finché non muoia per soffocamento. Al pensiero della morte legalmente comminata a un bambino tra tanta indifferenza. Si trema come un sovvertimento della natura, e del desiderio di vita che è in noi. Si trema a quell'idea, come davanti a un’aspra bestemmia.