Mentre l’America Latina è in piena turbolenza economica, sociale e politica, l’Uruguay celebra con ordine l’alternanza al governo. Domenica scorsa gli elettori della República Oriental hanno messo fine a 15 anni di governi di sinistra, dominati dalla coalizione Frente Amplio, e hanno consegnato il potere a una inedita alleanza di partiti moderati, guidata dal nuovo presidente, il 46enne Luis Lacalle Pou.
Con Lacalle Pou torna al potere il sistema dei partiti che ha dominato due secoli di storia uruguayana (dall’indipendenza, nel 1830, al 2005): figlio di Luis Alberto Lacalle Herrera (presidente dal 1990 al 1995) e bisnipote di Luis Alberto de Herrera, storico leader del Partito Nazionale nella prima metà del Novecento e membro della Presidenza collegiale dal 1955 al 1959, il nuovo presidente ha centrato l’obiettivo al secondo tentativo, dopo che 5 anni fa era stato sconfitto dall’attuale presidente, Tabaré Vazquez. Il suo successo era annunciato dai sondaggi, ma si è rivelato più difficile del previsto: la differenza di voti con il candidato del Frente Amplio, l’ex sindaco di Montevideo Daniel Martínez, è stata talmente esigua (appena trentamila consensi) da esigere un ricalcolo dei voti, prolungatosi fino a giovedì. Inoltre Lacalle Pou, per vincere, ha dovuto aggregare una composita coalizione, la Coalición multicolor della quale sono entrati a far parte 5 partiti, fra i quali il Partido Nacional (o Blanco) dello stesso Lacalle Pou e il Partido Colorado di Ernesto Talvi e dell’ex presidente Julio Maria Sanguinetti (l’ultimo capo di Stato «borghese » prima del Frente Amplio: guidò il Paese dal 1985 al 1990 e dal 1995 al 2000). Vale a dire le forze politiche che hanno costruito l’Uruguay moderno, dapprima combattendosi in sanguinose guerre civili nel XIX secolo e poi alternandosi al potere mediante libere elezioni nel XX. A questi due avversari storici, infine alleati,Lacalle Pou è riuscito ad aggregare tutte le forze nuove emerse in Uruguay negli ultimi anni, spesso su base personalistica (il Partido Independiente, il Partido de la Gente e Cabildo Abierto), costruendo quindi una variante moderata della coalizione di sinistra che ha governato nell’ultimo quindicennio: insomma, un Frente Amplio di centrodestra, speculare alla galassia di forze marxiste, cattolico-progressiste e di sinistra riformista che ha sostenuto dal 2005 a oggi le due presidenze di Tabaré Vazquez (2005-2010 e 2015-2020) e di José Mujica (2010-2015).
Ma cosa resta del quindicennio di governo della sinistra uruguayana? Quali le ragioni della sua sconfitta, sia pur di misura? E cosa cambierà in Uruguay nei prossimi cinque anni, dopo l’insediamento di Luis Lacalle Pou, previsto per il prossimo 1° marzo?
Il bilancio del Frente Amplio è controverso. La coalizione di sinistra è riuscita a imporre alcune leggi controverse e laceranti in campo etico-sociale, come il matrimonio gay, la depenalizzazione dell’aborto e la legalizzazione del commercio della cannabis: tutte scelte che è improbabile che vengano abbandonate nell’immediato futuro. In generale, la gestione dell’economia è stata positiva e i quindici anni di governo 'frenteamplista' sono stati caratterizzati da crescita economica. Quest’ultima, tuttavia, si è indebolita nell’ultimo periodo, con la disoccupazione al 9% e il deficit di bilancio al 4,8% del Pil nel 2018. A ciò si aggiunge una generale perdita di competitività del Paese – la cui economia è concentrata sul settore agroalimentare – che non riesce a trattenere in patria la parte migliore della sua popolazione giovane e resta poco popolato (appena 3 milioni di abitanti – circa metà dei quali concentrati nella capitale – su un territorio vasto come l’Inghilterra). Forse il dato più preoccupante riguarda l’ordine pubblico: con 414 omicidi nel 2018 (pochi meno che in Italia, che però ha una popolazione di venti volte superiore), l’Uruguay, un tempo oasi di sicurezza e stabilità sociale in Sudamerica (ove ha a lungo rivendicato il titolo di 'Svizzera' del subcontinente), risente della violenza prodotta dal narcotraffico.
Questo insieme di fattori – assieme ad alcuni scandali che hanno coinvolto esponenti del governo uscente, come l’ex presidente Raul Sendic – è probabilmente alla radice dell’opzione per l’alternanza: che quindi ha cause endogene più rilevanti di quelle che determinano il trend generale in Sudamerica, che negli ultimi anni ha visto concludersi la fase di svolta a sinistra, che aveva caratterizzato buona parte dei primi due decenni del nuovo secolo. Insomma, alle proteste di piazza gli uruguayani hanno preferito la via offerta dalla democrazia: quella delle urne, che servono a mandare a casa i governanti e a indicare un percorso alternativo.