«E per favore non dimenticate di pregare per me». Quante volte abbiamo ascoltato dal Papa, alla fine dei suoi discorsi, queste parole. Il popolo di Dio – possiamo dire ora – non è rimasto sordo alla richiesta di Francesco. Specie negli ormai 23 giorni del suo ricovero al Gemelli, in cui la preghiera incessante del mondo è arrivata fino al decimo piano del Policlinico, è entrata nei condotti delle apparecchiature, si è fatta ossigeno spirituale ad alti flussi che non ha bisogno di naselli, né di mascherine naso e bocca per essere inalata. E papa Bergoglio l’ha assunta nel fisico e nell’animo quanto e più dei farmaci che stanno combattendo la sua polmonite bilaterale.
Per questo Francesco ha scelto, pur con voce segnata dalla sofferenza e dai trattamenti medici a cui deve sottoporsi, di rompere il silenzio che durava dal 14 febbraio, data del suo ricovero. Ventisette secondi e ventotto parole. Poco più di un soffio, il cui valore è però incommensurabile, perché è il valore della fede, dell’amore, della paternità spirituale da parte del Pastore della Chiesa universale. Il valore di un rapporto unico che lega Pietro all’immenso equipaggio della sua Barca. E questo equipaggio, di cui tutti noi facciamo parte, a Pietro. Come ha spiegato ieri mattina il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, papa Francesco «voleva ringraziare le persone per le tante preghiere che stanno facendo per lui e grazie alle quali si sente come “portato” e sostenuto da tutto il popolo di Dio».
Eccolo, dunque il significato profondo quei ventisette secondi e di quelle ventotto parole. In cui, a fare un’analisi del testo, non manca veramente niente. Il grazie con cui si apre e si chiude l’audio, il «vi accompagno da qui», che è testimonianza lampante dell’inscindibile legame tra il Papa e la Chiesa, la benedizione di Dio e l’affidamento di tutti e di ognuno alla custodia della Vergine. Ventotto parole che valgono come un’enciclica.
Questa è la potenza della preghiera. Che cambia il mondo e la storia. E anche le storie personali. Grazie alle preghiere dei fedeli, che papa Francesco “sente” con il suo sesto senso spirituale, stiamo assistendo in questi giorni a una riproposizione reale della pagina degli Atti degli Apostoli in cui si dice che una preghiera incessante saliva da tutta la Chiesa per Pietro prigioniero. In questo caso un Pietro “prigioniero” della malattia, mentre si celebra il Giubileo della speranza, da lui stesso indetto.
Nel disegno della Provvidenza nemmeno lo spostamento di un capello è casuale. Quindi l’infermità di Francesco deve essere guardata con sguardo più profondo di quello meramente umano, che non può non dolersi delle sofferenze del Papa e spera nella sua guarigione. Ma chissà che proprio questa infermità, in un mondo corroso dal materialismo e dall’ateismo pratico, non sia il segno provvidenziale di quel primato di Dio, e di un Dio misericordioso, che ha caratterizzato il magistero petrino di Jorge Mario Bergoglio. In un Anno Santo la preghiera è pratica giubilare per eccellenza, al punto che pregare secondo le intenzioni del Papa è una delle condizioni per ottenere l’indulgenza plenaria. Tutta la Chiesa e ogni uomo donna e bambino di buona volontà, stanno dimostrando che nessuno si dimentica di pregare per Francesco e secondo le sue intenzioni. E che questo fa bene al Papa. E se Bernanos diceva che tutto è grazia, quei ventisette secondi e quelle ventotto parole ci hanno fatto comprendere che lo sono anche questi giorni. Segnati sì dalla trepidazione per la sua salute. Ma anche dall’unità orante con cui la Chiesa si stringe intorno al suo Pastore.