L’aborto è un dramma, tutti lo dicono, non tutti ci credono. È un dramma perché i diritti della donna confliggono con quelli del bambino che porta in grembo; perché è sempre una sconfitta; perché da queste storie nessuno esce indenne. Come avviene per la morte, allora, poiché la realtà ci fa male, ci sembra preferibile accantonare il pensiero e non parlarne affatto. Eppure, se è vero che «chi salva una vita salva il mondo intero», tutti – compresi i paladini dell’aborto come 'diritto' – dovremmo fare a gara a limitarlo quanto più è possibile. E invece no. La disposizione che liberalizza la 'pillola dei 5 giorni dopo' anche per le minorenni senza ricetta medica e senza il consenso dei genitori ha lasciato basiti tanti medici e tanta gente seriamente preoccupata. Sulle pagine di 'Avvenire' se n’è discusso, come sempre, con competenza e completezza, tenendo lontani i livori ideologici e pensando al bene di tutti.
Senza inoltrarci in questioni squisitamente scientifiche, basterebbe pensare che una qualsiasi ragazzina può far uso di quella pillola chissà quante volte, senza che nessuno ne sappia nulla e possa quindi correre in suo aiuto in caso di bisogno. Non ci sembra per niente una buona idea. I cristiani e tanti altri uomini e donne di buona volontà e di occhi limpidi, naturalmente, non smettono di tenere a cuore, oltre ai problemi della donna incinta, il bambino che viene sacrificato. È un essere umano, uno di noi. I motivi che spingono una donna ad abortire sono tanti e tanto diversi tra loro. La domanda che chiunque in accordo, almeno teorico, con la legge 194 dovrebbe porsi è: che possiamo fare per mettere in salvo la mamma e il suo bambino? E sarebbe bello se al riguardo potessero parlare – ma senza acrimonie, senza la tentazione di sfidarsi a inutili e dannosi duelli – coloro che hanno strappato allo 'scarto' più irrimediabile centinaia di bambini.
Chi scrive è parroco in un quartiere povero della Campania, che solo in questo difficile anno che volge a termine, con i pochi fondi a disposizione, donatigli dai credenti, coadiuvato da un pugno di volontari – soprattutto donne –, ha dato speranza e gioia a decine di famiglie, salvando la vita ai loro bambini che stavano per essere eliminati. Facciamo il possibile. E non è mai abbastanza.
A Milano e in altre città è comparso in questi giorni un manifesto a favore della vita nascente e contro la Ru486. Come ogni manifesto può piacere o meno. Ebbene, in un Paese come il nostro in cui tutti, in teoria, si dicono rispettosi della libertà altrui, i paladini della tolleranza diventano, quando si parla di aborto, intolleranti. Così Roberto Saviano, sulla sua pagina Facebook ha scritto parole durissime contro il manifesto, contro coloro che lo hanno voluto e contro i sindaci delle città dove è stato esposto. Preso dalla foga, lo scrittore campano, non si è accorto di rasentare il ridicolo. Il manifesto dice: «Prenderesti mai del veleno? Stop alla pillola abortiva Ru486, mette a rischio la vita della donna e uccide il figlio in grembo». Secondo Saviano il manifesto sarebbe «disgustoso», «indegno, perché la pillola abortiva è un farmaco e non un veleno». Ora, come tutti sanno, ogni farmaco è un veleno e ogni veleno può trasformarsi in un farmaco. Dipende dalla dose, dalla persona che lo ingerisce, dalle patologie che accusa. Di certo, dai tempi di Ippocrate, se non prima, i farmaci vengono somministrati ai pazienti per curarli, non per mandarli a morte. E la gravidanza, per quanto inaspettata e indesiderata, tutto può essere tranne che una malattia.
Non contento, l’autore di 'Gomorra' taccia l’associazione ProVita e Famiglia, che ha ideato e diffuso i manifesti, di «oscurantismo» e «imbroglio ». E tuona: «Sabotare l’aborto significa sabotare la vita delle donne che, quando non esistono vie legali e garantite per abortire, finiscono nelle mani di laboratori clandestini. Questo accade in tutti i Paesi dove l’aborto è reato, e questo accade anche in Italia, nelle regioni in cui l’obiezione di coscienza nelle strutture pubbliche non consente l’erogazione di un servizio che è garantito per legge». In realtà, ovviamente, questo non accade in nessuna Regione d’Italia. E chi conduce da anni limpide battaglie di giustizia e di verità non dovrebbe permettersi di dire una cosa così smaccatamente non vera. Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza, poi, ancora una volta ci troviamo di fronte a un altro diritto umano basilare che non può essere negato.
Colpisce poi che lo scrittore non abbia per il bambino abortito, non dico un sentimento di pietà, ma almeno una semplice parola. Niente di niente. E pensare che anche tu, Roberto, come tutti coloro che passeggiano e faticano sulla faccia della terra, sei passato per quella fase della vita. Permettimi di unirmi a te nel ringraziare i tuoi genitori per non averti gettato via.