Ha usato un’immagine di forte attualità monsignor Jozef Bart, definendo la Divina Misericordia come «il vaccino contro il virus dell’egoismo». Nella chiesa romana di Santo Spirito in Sassia, dove è rettore, domenica mattina per il secondo anno consecutivo il Papa celebrerà la Messa nel giorno della Festa istituita da Giovanni Paolo II nel 2000, come aveva raccomandato Gesù nelle visioni della mistica polacca santa Faustina Kowalska. Del resto Francesco lo ha ripetuto più volte in questi mesi di pandemia che l’egoismo è più pericoloso del Covid. E proprio nel santuario che oggi tornerà a visitare, consacrato alla Divina Misericordia fin dal 1994, lo scorso anno disse: «Non pensiamo solo ai nostri interessi, agli interessi di parte. Cogliamo questa prova come un’opportunità per preparare il domani di tutti. Perché senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno. E usiamo misericordia a chi è più debole: solo così ricostruiremo un mondo nuovo».
Non stupisce, dunque che il Papa che ha fatto della misericordia il pilastro del suo pontificato, ne torni a sottolineare, con la Messa odierna, il valore "medicinale". Per il bene soprannaturale, certo («Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me, anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto», disse Gesù a suor Faustina; e Francesco non si stanca di ripeterlo in tutti i modi), ma non solo. In questa Festa, infatti, c’è anche una dimensione terrena, che la Fratelli tutti ha ben evidenziato. Giovanni Paolo II lo aveva messo in luce già con la sua enciclica del 1980, Dives in misericordia. «Se è vero che ogni uomo, in un certo senso, è la via della Chiesa – scriveva papa Wojtyla – al tempo stesso il Vangelo e tutta la tradizione ci indicano costantemente che dobbiamo percorrere questa via con ogni uomo così come Cristo l’ha tracciata, rivelando in se stesso il Padre e il suo amore».
C’è in questo brano, come prefigurato, lo stesso insegnamento di Francesco, il suo accento posto sulla Chiesa in uscita che – come il Risorto con i due di Emmaus – si faccia compagna di strada degli uomini e delle donne del nostro tempo, specie i più feriti e derelitti, i più poveri ed emarginati. E che su tutte le ferite versi l’olio della misericordia, corporale e spirituale, come il buon Samaritano. Con le parole del Diario di Santa Kowalska si potrebbe riassumere: «In un’anima sofferente dobbiamo vedere Gesù Crocifisso e non un parassita e un peso». E cogliere anche il suo ammonimento: «Signore, ci dai la possibilità di esercitarci nelle opere di misericordia e noi ci esercitiamo nei giudizi».
Il messaggio che papa Francesco lancia oggi è dunque come l’invito a dare il via a una grande campagna "vaccinale" senza controindicazioni e senza limitazione di dosi, per curare quel virus che, a ben vedere, è alla base di quasi tutti i mali del mondo: guerre e commercio delle armi, squilibri economici e povertà (anche in materia di cure mediche, come la diseguale distribuzione degli stessi vaccini anti-covid dimostra), cambiamenti climatici e sfruttamento intensivo delle risorse naturali, accaparramenti e politiche neocolonialiste. Per non contare poi i piccoli e grandi conflitti all’interno delle famiglie, nella società, nei media, nelle aziende e in tutti gli altri luoghi della convivenza umana. Curare l’egoismo con la misericordia, ci ricorda dunque il Papa, è il vero percorso terapeutico che l’umanità, a volte anche inconsapevolmente, attende. E che specie nel tempo della pandemia non può più essere rimandato. Ne va del nostro futuro.