La scelta strategica sul salario di Fca e il pesante piano di ristrutturazione della Whirlpool alzano ulteriormente l’asticella della sfida per il sindacato. Non solo per gli immediati problemi che pongono, quanto soprattutto per quanto anticipano o lasciano intravedere del futuro dell’industria, delle relazioni sindacali e del ruolo stesso della rappresentanza. L’annuncio di Sergio Marchionne di un nuovo sistema salariale per i lavoratori dell’auto, infatti, pone in ogni caso un problema di rapporti e ruoli, al di là della bontà stessa della proposta sia in termini qualitativi sia quantitativi. Pur inserita in un negoziato in corso da mesi sul rinnovo del «contratto specifico di primo livello» (che sostituisce quello nazionale dei metalmeccanici dopo l’uscita di Fiat da Confindustria), infatti, l’iniziativa dell’amministratore delegato rischia di apparire come una scelta unilaterale, non concordata neppure con i sindacati firmatari. E il fatto che questi ultimi ieri abbiano subito sottoscritto l’accordo sulla base di quanto comunicato appena 24 ore prima da Marchionne, ha dato fiato alle critiche di chi – come la Fiom – parla di «subordinazione alla volontà aziendale» e paventa la fine stessa della contrattazione. In realtà non è andata così, perché la mossa di Fca di ieri non può essere vista in maniera a sé stante, ma è il portato naturale delle intese strette dal 2011 e della responsabilità delle organizzazioni sindacali (sempre ad eccezione della Fiom) che hanno costruito il consenso, le condizioni operative e offerto la collaborazione necessaria a che il piano di salvataggio e sviluppo di Fiat-Chrysler avesse successo. Non può sfuggire, però, che lo stesso Marchionne giovedì ha parlato del nuovo sistema premiale come un atto «dovuto ai lavoratori» e lo abbia annunciato scavalcando di fatto il negoziato vero e proprio con i sindacati. Un modo diretto di rivolgersi ai propri dipendenti che salta la mediazione della rappresentanza e ricorda, per analogia, l’approccio diretto di Matteo Renzi con i cittadini-elettori, saltando a piè pari il ruolo dei corpi intermedi. Esistono insomma rischi di marginalizzazione del sindacato nella contrattazione. Ma non perché – come sostiene la Fiom – si distrugge il contratto nazionale o «viene cancellata la parte fissa del salario» (cosa che non è vera neppure nel nuovo modello Fca), quanto per la capacità o meno della rappresentanza di affrontare il nuovo. Il ridimensionamento della cornice nazionale a favore di un maggior spazio ai patti aziendali, così come un migliore aggancio dei salari alla produttività e ai risultati economici delle singole imprese, saranno infatti i tratti ineludibili della nuova contrattazione se il Paese intende restare competitivo e conservare una presenza significativa di manifattura. Il vero problema per il sindacato sarà avere la capacità di stare dentro questi processi da protagonista e non da comparsa, con una rinnovata capacità di proposta e di governo degli orari, delle prestazioni e delle retribuzioni. Sarà quella di essere più presente in fabbrica e perciò soggetto imprescindibile al management per progettare il futuro. Sarà la capacità di tenere insieme le persone non come massa, ma badando alla centralità di ognuno all’interno dell’impresa. Passando da un conflitto sicuramente perdente, a una partecipazione che non è formula magica, ma fatica quotidiana, analisi delle criticità, risoluzione dei problemi, corresponsabilità (partecipazione sulla quale le imprese per prime debbono avviare una profonda riflessione). Se già nel secolo scorso 'nessun pasto era gratis', in quello nuovo la rappresentanza non è più scontata e occorre conquistarsela giorno per giorno, grazie soprattutto a una visione e a una capacità progettuale. Lo dimostra anche la vicenda della Whirlpool trasformatasi, nelle stesse parole del premier Renzi, da «operazione fantastica» di salvataggio della Indesit, sette mesi fa, a «fulmine a ciel sereno» l’altro ieri con 1.340 esuberi e lo stabilimento casertano a rischio di chiusura. E questo nonostante il gruppo americano prometta d’investire 500 milioni di euro negli stabilimenti italiani, riportando in Italia parte delle lavorazioni oggi svolte in India, Turchia e Polonia, aumentando la produzione di 500mila pezzi l’anno. Probabilmente siamo di fronte all’anticipazione di quella che sarà l’industria 4.0, quella della quarta rivoluzione, in cui la maggiore automazione ed efficienza 'bruceranno' manodopera assai più velocemente che in passato. La sfida per il sindacato non è più bloccare una tangenziale o attivare il governo sugli ammortizzatori sociali, ma capire come agire sull’orario, la formazione, la mobilità per gestire questi processi. Per co-gestire la trasformazione. Per trasformare un saldatore del Novecento in un tecnico informatico del Duemila.