II realismo della pace
martedì 12 luglio 2022

È possibile che da una guerra escano molti sconfitti e nessun vero vincitore? È accaduto qualcosa di simile – dopo milioni di morti – con la Prima guerra mondiale. E anche dopo la Seconda guerra mondiale è successo un’infinità di volte. Sta accadendo in Ucraina Forse qualche Paese – come la Turchia – o qualche lobby – come quella delle armi – trarranno vantaggi da questo conflitto, ma per gli attori principali è molto diverso. Sebbene stia prevalendo sul terreno, Vladimir Putin ha innestato molti risultati per lui negativi. Oltre a spingere l’Ucraina verso l’Occidente, ha fatto "rinascere" una Nato da tempo incerta sulla sua funzione e reduce da un disastroso ritiro dall’Afghanistan: l’aggressione russa ha rimesso insieme l’Alleanza Atlantica, spinto Finlandia e Svezia a diventarne membri, rafforzando la presenza militare occidentale nei Paesi vicini alla Russia... E anche se fa passare navi russe davanti a Taiwan, Putin deve prendere atto della tiepidezza cinese.​D’altra parte, che la Nato si faccia dettare l’agenda dal Cremlino non è un segno di forza.

A Madrid l’Alleanza ha ridefinito il suo strategic concept dichiarando la Russia «la minaccia più significativa e diretta». Ma questo concept non spiega affatto quale sia la mission complessiva della Nato, fotografa solo una situazione contingente. Troppo poco per la più importante alleanza militare del mondo, di fatto l’unica organizzazione che parli a nome di tutto l’Occidente. Macron è stato molto criticato per aver parlato di «morte celebrale» della Nato, ma è un fatto che, dopo il 1989, l’Alleanza ha chiuso gli occhi davanti a molti problemi internazionali – in primis le cosiddette "guerre dimenticate" – ondeggiando alla ricerca di un nemico che la definisse: ieri l’estremismo islamico, oggi la Russia, domani forse la Cina o magari lo jihadismo africano...

La Nato è stata fondata nel 1949 al servizio di un progetto discutibile ma indubbiamente forte, sul piano militare, politico, economico e persino culturale. Lo strategic concept di Madrid mostra invece che l’Occidente oggi non ha un progetto chiaro per il proprio futuro e per quello del mondo. Il copione si è ripetuto al G20 dei ministri degli Esteri a Giacarta, utilizzato da occidentali e russi come palcoscenico su cui esibire la loro contrapposizione, condannando al fallimento l’incontro cui nessuno ha saputo dare uno scopo: non c’è stata neanche una dichiarazione finale comune. Né appare oggi evidente la superiorità politico-valoriale rivendicata dall’Occidente: il caso Boris Johnson non è l’unico esempio della crisi delle democrazie occidentali.

In un mondo sempre più complesso, una guerra come questa non può ridefinire da sola i rapporti di forza, che sono in perenne movimento, dipendono da molti fattori tanto politici quanto economici, risentono delle scelte dei leader come degli umori dei popoli... È un’evidenza che molti continuano a negare, riducendo ogni scelta allo stare di qua o di là e valutando ogni evento in rapporto al vantaggio degli uni o degli altri. Ci si accanisce, persino, contro chi come papa Francesco, ricorda che riconoscere le responsabilità – come lui ha fatto e fa – non esaurisce la verità più ampia di questa guerra «crudele e insensata». Paradossalmente, c’è più realismo nella sua insistenza sulla pace che nel "realismo di guerra". Essere davvero realisti oggi, infatti, non significa concentrare ogni energia per far vincere l’uno o l’altro. Al contrario, lo è parlare di pace o quantomeno di equilibrio di forze, come fa il novantanovenne Henri Kissinger secondo cui gli Usa non devono far diventare la guerra in Ucraina una guerra "alla Russia", quest’ultima va reintegrata in un sistema di sicurezza europeo per non regalarla alla Cina, così come bisogna trovare un’intesa con Pechino senza fare di Taiwan la questione principale.

È la vecchia idea westafaliana dell’equilibrio tra potenze allargata dall’Europa al mondo intero. Mentre sta diventando sempre più difficile credere che la fine della guerra possa venire dall’Onu o da altre istituzioni multilaterali, Kissinger rilancia un vecchio modello: il Congresso di Vienna del 1815 in cui le grandi potenze decisero che la stabilità conveniva a tutti. E in Europa non ci furono più guerre per decenni. La complessità delle questioni in cui si inserisce la guerra in Ucraina è confermata da quanto è avvenuto non sul palcoscenico del G20 ma dietro le quinte, dove il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato molti suoi omologhi, come l’Alto rappresentante della Ue per la politica estera la ministra degli Esteri australiana, cercando di riprendere con entrambi le fila del dialogo.

Ancora più importante è stato il suo incontro di cinque ore – il primo dopo l’invasione russa – con l’americano Blinken con il quale, sembrerebbe, più della guerra poté l’inflazione. Mentre ribadivano le critiche reciproche, infatti, i due hanno riconosciuto che il conflitto commerciale scatenato da Trump contro il made in China non è convenuto a nessuno. In particolare, i consumatori americani hanno continuato a comprare molti prodotti cinesi, senza passare al made in Usa e senza sostenere l’America first, accollandosi il costo dei dazi con la conseguenza di far crescere l’inflazione negli Usa dell’1,3% (sull’8% complessivo). Forse ci sarà qualcosa di più, Biden e Xi Jinping potrebbero re-incontrarsi in videoconferenza e altri sviluppi sono possibili. Intanto, è comunque positivo che si vada verso l’archiviazione della guerra dei dazi e si lavori per archiviare la guerra «crudele e insensata» in corso in Ucraina.

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