Nel giorno 78 della guerra, la Russia continua a bombardare i fronti dei combattimenti nel Donbass e a Sud, ma anche molte città. La strategia sembra essere quella del logoramento prolungato dell’avversario. Si sommano poi i periodici richiami al pericolo di un’escalation nucleare, proprio mentre il ministro degli Esteri Serghei Lavrov nega che Mosca voglia un conflitto allargato in Europa. In questo modo, si fa sempre più concreto il rischio di uno scontro armato che si cronicizza sempre più e dissangua il Paese invaso insieme all’invasore.
Ecco perché sarebbe importante valorizzare i richiami alla pace giusta e concordata da Kiev che si sono levati negli ultimi giorni, in particolare dal presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, durante la sua visita a Washington. Molte letture sono state date delle sue parole, arrivate insieme alle notizie di nuovi invii di armamenti da Roma alla volta del confine ucraino. Certamente, il premier non ha voluto rompere il fronte occidentale e atlantico. Anzi, ha ribadito l’unità che si è ancora più rafforzata negli ultimi mesi, malgrado il tentativo fatto da Putin di dividere l’Alleanza atlantica e l’Unione Europea al loro interno. Qualche divergenza d’opinione ovviamente rimane, ma Draghi non ha puntato su questo con il presidente americano Biden.
Il messaggio portato negli Stati Uniti è stato piuttosto quello del realismo e della volontà di non rendere perenne la guerra senza un vero motivo. L’Europa per la gran parte è coinvolta più direttamente dalle conseguenze del conflitto rispetto all’America, com’è ovvio, e ha necessità di continuare a convivere con la Russia anche dopo la fine dell’aggressione all’Ucraina. Ciò è stato ribadito dal presidente francese Macron, quando ha auspicato che Mosca non sia umiliata (sebbene si debba contrastare attivamente la sua aggressione a un Paese pacifico).
Questo non significa cambiare la linea adottata finora.
Il punto è trovare una via perché gli sforzi diplomatici possano diventare trattativa concreta verso una tregua e una successiva pace. Qui le cose si fanno complicate. Il Cremlino non dà segni di volere sedersi al tavolo fermando le armi e anche il presidente Zelensky sembra tentato dal proseguire le ostilità per riconquistare il maggiore numero dei territori occupati dall’Armata russa, come ha chiarito anche nell'intervista a "Porta a porta" in cui ha sottolineato come il primo passo per parlare con Mosca è quella del ritiro da tutti i territori occupati. E ciò accade in mancanza di un’alternativa alle richieste inconciliabili dei due belligeranti. L’Ucraina, che è dalla parte della ragione in punta di diritto e dal punto di vista morale, rivendica la piena sovranità su tutto il Paese nei confini dell’indipendenza nel 1991 (forse ad eccezione della Crimea). La Russia, che è dalla parte del torto ma mette sul piatto il fatto compiuto della conquista con la forza di alcune zone del Sud e dell’Est, ne pretende l’autonomia e l’annessione di fatto a Mosca.
La politica può cercare soluzioni più sfumate e in tempi più dilatati. Le province occupate potrebbero ottenere uno status provvisorio con un’amministrazione congiunta tra Stato ucraino e filorussi, previo il ritiro dei militari di Mosca. Dopo una fase di pacificazione/ricostruzione materiale e accertamento dei crimini di guerra compiuti, si potrebbe avviare un processo di consultazione supervisionato da Paesi terzi per la definizione di uno status più consolidato.
Non si tratta di fare concessioni indebite a Mosca, ma di riconoscere che in certe zone ci sono state lacerazioni interne e che esse non si ricomporranno d’incanto. Considerate le violenze e le distruzioni compiute dai russi, difficilmente vi saranno plebisciti a favore di Putin, se sarà garantita l’assenza di pressioni esterne. Così, anche la richiesta del Cremlino di difendere “le popolazioni minacciate” verrà soddisfatta e Putin non dovrà ammettere in patria che la guerra è stata un errore esiziale fin dall’inizio. Non è necessariamente la soluzione migliore, altre potrebbero essere trovate, più efficaci e più eque. L’importante sembra mettere in moto un’immaginazione che riporti scenari di pace e di convivenza sul proscenio della crisi, finora dominata soltanto dalle strategie belliche.