Come canta Francesco Guccini: «E in un attimo, ma come accade spesso, cambiò il volto di ogni cosa». La situazione è precipitata in pochi minuti e l’intento iniziale di ragionare a partire dall’articolo di Luca Diotallevi, pubblicato da “Avvenire” lo scorso 26 maggio, ha incontrato l’esigenza di comprendere come poter concretizzare la categoria di popolo tipicamente “popolare”, rispetto alla medesima categoria emergente dal movimento “populista”, così forte in questi nostri giorni sciagurati. Si poteva capire che sarebbe finita male allorché il professor Giuseppe Conte, presidente del Consiglio incaricato, si è presentato come «l’avvocato degli italiani», una variante legalista e roussoiana del messianesimo politico.
Quelle parole mi hanno lasciato interdetto e mi hanno ricordato troppi “masanielli” che, nel nome del popolo, hanno avanzato la pretesa di mobilitarlo e di condurlo verso un domani radioso, presentando le istituzioni come il nemico naturale del popolo. Si tratta di una inversione pericolosa e tipicamente populistica che non ha mai condotto a nulla di buono.
Nella tradizione popolare, al contrario, piuttosto che “il capo”, esistono le “opinioni” che maturano nella discussione critica e il cittadino è sovrano in quanto tiene sotto scacco la discrezionalità dei politici, servendosi del ruolo delle istituzioni: sono le istituzioni l’avvocato dei cittadini contro l’arbitrio dei politici; in fondo, quale dittatore si è mai presentato al popolo, promettendo il male comune? Nella prospettiva sturziana, non vi è spazio per quel populismo contemporaneo in cui il leader presenta se stesso come l’incarnazione del popolo: unum corpus mysticum, categoria mistica, incarnata da un capo carismatico, né per una nozione di popolo organicistica: l’attributo “popolare” sta a indicare piuttosto il metodo della partecipazione alla vita civile.
Il “popolo”, per Sturzo, esprime una forza sociale di controllo, in quanto esercita la funzione di limite mediante organismi procedurali istituzionali. Per questa ragione, il “popolo” in Sturzo è un concetto “plurarchico”, poiché il limite esercitato è di ordine giuridico, istituzionale e culturale. Radicando la categoria politica del “popolarismo” in tale nozione di “popolo”, è evidente che Sturzo individua il problema della politica nella ricerca dei limiti al potere, nella consapevolezza che non potrà mai esistere un “potere neutro”, perché se il potere non è limitato ed è assoluto è «assolutamente corrotto» (Acton).
Ebbene, Sturzo individua tre categorie di limite che il “popolo” esercita sul potere politico. In primo luogo, ciò che egli chiama il «limite organico del potere», nel tentativo di raggiungere tre obiettivi: 1. svincolare la condizione civile da quella censuaria; 2. dare maggiore uniformità ed efficacia alla legge e sottrarla all’arbitrio delle persone investite di potere; 3. nobilitare l’azione politica. La seconda categoria ci offre l’idea del «popolo come forza morale di controllo». Il popolo, dunque, come luogo di resistenza etica, mediante la sua articolazione in partiti, sindacati, massmedia, società civile e come forza motrice capace di mutamento e di civilizzazione. La terza categoria rimanda al concetto di «popolo come limite politico».
In questo caso, il popolo potrà esercitare una simile funzione nella misura in cui le istituzioni saranno organizzate secondo il metodo democratico ovvero, nella misura in cui, in forza dell’esercizio delle libertà politiche, il processo riformatore sia reso possibile mediante il concorso e la partecipazione al potere politico di tutte le classi sociali; così inteso il popolo non esprime la mera «giustificazione del potere». I giorni che ci attendono vedranno molto probabilmente contrapposti schieramenti del tutto inediti. Personalmente, condividendo quanto scritto da Diotallevi, mi auguro che, al di là delle pur ampie differenze programmatiche, prevalga l’intenzione degli interpreti politici, in primis di quelli che si riconoscono nella tradizione cristiana e del popolarismo, di indicare come linea del Piave la distinzione tra “popolarismo” e “populismo”, tra “civitas” e “tribù”, tra “Unione Europea” e “Stato-Nazione” ovvero “super-Stato europeo”: due facce della stessa medaglia. La battaglia contro i populismi sarà dura e l’esito tutt’altro che scontato, i popolari dovranno dimostrare di non aver perso il contatto con la realtà e il legame con la loro storia.
Come ha più volte scritto Dario Antiseri: educazione alla discussione critica; individuazione dei problemi e loro soluzione; prontezza nel riconoscimento dei propri errori e di quelli altrui; continua attenzione alle conseguenze non previste di una teoria; necessità di una ricostruzione delle sorgenti che hanno alimentato la civiltà europea; come anche una chiara presa di coscienza degli inferni che siamo riusciti a scatenare ogni qualvolta abbiamo tentato di strappare, di calpestare le radici da cui si è sviluppato quell’albero che è l’Occidente. «Socratica nella mente, cristiana nella volontà» – questa, per dirla con Salvador de Madariaga, afferma Antiseri – è l’Europa. «Inquinandone le sorgenti intellettuali e inaridendone le idealità evangeliche equivale a decretarne il suo tramonto, divorata dal male non più oscuro di un pervasivo cupio dissolvi ».