Morire di inquinamento atmosferico. Morire per un veleno impalpabile, quasi invisibile. Morire di una morte sottile, che ci fa capire il peso dell’aria nelle nostre vite. Gli inglesi lo battezzarono smog, termine coniato nel 1905, unendo le parole smoke (fumo) e fog (nebbia). Un nome che diventò sinonimo di morte nell’inverno del 1952, quando a Londra le ingenti emissioni di inquinanti e condizioni atmosferiche sfavorevoli provocarono 4mila morti e migliaia di ricoveri per crisi respiratorie. Dopo 64 anni arriva il drammatico allarme dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea): malgrado alcuni miglioramenti, l’inquinamento atmosferico è «la più grande minaccia ambientale alla salute in Europa». E nel rapporto "Qualità dell’aria 2016" fa numeri drammatici: 467mila morti prematuri all’anno.
Lo smog uccide ancora, uccide sempre. Certo, non è più quella cappa grigia che dalla rivoluzione industriale di fine Ottocento al secondo dopoguerra copriva le grandi città europee (ma ancora oggi in Cina e India), oscurando il cielo e strappando via tante vite. Ma i veleni continuano a essere gli stessi di allora. E come allora si muore. Lo scrive con chiarezza papa Francesco nell’enciclica Laudato si’. «L’esposizione agli inquinanti atmosferici produce un ampio spettro di effetti sulla salute, in particolare dei più poveri, e provocano milioni di morti premature». Proprio come il rapporto dell’Agenzia. Anche se Francesco, in più, sottolinea come le principali vittime di questi veleni siano i «più poveri». Lo sanno bene gli abitanti della "terra dei fuochi" costretti da decenni a respirare i fumi della combustione illegale, ma anche legale, dei rifiuti. Lo sanno bene gli abitanti dei quartieri più vicini all’Ilva di Taranto, costretti anche loro da decenni a respirare polveri e diossine. Lo sanno bene i milioni di italiani che vivono nelle aree - nella cintura di Torino o di Milano, per amaro esempio - più colpite dallo smog del terzo millennio, molto spesso analogo a quello del millennio scorso.
Il negazionismo del rapporto causa-effetto tra inquinamento e morti è assurdo e complice. Perché, come scrive l’Aea, le cause sono sempre le stesse: la combustione da carbone e biomassa (soprattutto legno) da parte di industrie e centrali elettriche, i trasporti, l’incenerimento di rifiuti, ma anche l’agricoltura (pesticidi e diserbanti). Cause note, dunque. Ed è quindi un buon segnale la notizia, sempre di ieri, che il Parlamento europeo, in seduta plenaria, ha approvato una direttiva per imporre limiti più bassi ai principali inquinanti con l’obiettivo di abbassarne entro il 2030 la quantità nell’atmosfera sotto i livelli del 2005. Si tratta degli stessi inquinanti dello smog dei primi del Novecento o della "strage" del 1952. In particelle più piccole, anche molto più piccole, ma sempre drammaticamente pericolose. Ed è un’altrettanto buona notizia la sentenza della Corte di giustizia Ue secondo la quale la tutela dei segreti industriali e commerciali non può essere invocata per coprire le informazioni sulle emissioni di un pesticida nell’ambiente, in questo caso l’usatissimo e contestatissimo erbicida glifosato. Non c’è segreto che tenga, dice la Corte, quando sono a rischio l’ambiente e salute.
Servono dunque informazione e trasparenza, senza paura di toccare interessi e poteri forti, e provvedimenti innovativi che favoriscano sistemi produttivi a basso impatto ambientale, penalizzando chi inquina di più e incentivando chi sceglie produzioni industriali ed energetiche verdi. Serve una politica che scelga di guardare avanti, mentre nella Legge di bilancio in discussione in Parlamento, accanto ad alcune interessanti proposte, ci sono, purtroppo, ancora troppi incentivi per le fonti fossili e per il trasporto su gomma. Serve una politica più coraggiosa. Una buona politica. Che la faccia finita con pratiche e logiche che questo inquinamento assassino hanno provocato. Che veda e ammetta gli errori e corra subito ai ripari. «La tecnologia – scrive ancora il Papa – che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri». E ci ricorda che «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio».
Per questo Francesco chiede una «conversione ecologica». Parole che ci ricordano quelle di uno dei padri del movimento ambientalista in Italia, quell’Alex Langer, troppo presto scomparso. «Credo – scriveva nel lontano 1989 – che una delle virtù 'verdi' praticabili possa essere quella del pentimento, dove per pentimento intendo l’atteggiamento di chi ha sperimentato l’eccesso, la trasgressione, la violazione e se ne rende conto e non ha lo stesso atteggiamento di innocenza di chi non ha mai peccato ». Un pentimento vero, sincero. Ce lo chiedono le 467mila vite strappate via ogni anno da quella nuvola velenosa.