Caro direttore,
nella relazione presentata al G20 della Cultura, svoltosi a Napoli, Vincenzo Trione, citando Edgar Morin, ha sostenuto che siamo «in una gigantesca Torre di Babele rumoreggiante di linguaggi discordanti». E quindi in una situazione nella quale non è possibile dominare i saperi e le conoscenze. Per questo la Scuola dovrebbe abbandonare una visione verticale del sapere e «disegnare i contorni di una cultura dinamica e orizzontale».
Ciò potrebbe valere se ogni singolo uomo fosse unicamente espressione passiva del tempo in cui si è trovato a vivere la sua unica e irripetibile esistenza terrena. E non avesse soprattutto il compito di dare una sua risposta al perché di quest’esistenza. È sulla base della risposta che può unire quel che sa e quel che viene a sapere, sottraendosi, nei limiti del possibile, alla Babele esteriore, quasi sempre ispirata e comunque sostenuta dal sistema tecnico-industrialeeconomico, che domina e sottomette alla sua volontà di potenza. Vincenzo Trione dice che «al centro della 'missione' della Scuola c’è il patrimonio culturale nella sua varietà e nella sua complessità », e che esso «ci ricorda chi siamo stati e chi siamo e ci parla di una società che abita il passato per alimentare il futuro ». Ma, a pensar bene, questo patrimonio è frutto di culture sostenute e illuminate dal trascendente, che spesso si tende a dimenticare o a tralasciare, ritenendo che non altro possano dare al vivere del nostro tempo se non astratta erudizione. Trione dice anche che durante la pandemia è radicalmente cambiato il nostro modo di guardare il patrimonio culturale: «Bene da tutelare, ma anche agente di sviluppo economico, motore di crescita e di coesione sociale ».
La sua affermazione sorprende perché testimonianze esteriori e molte testimonianze interiori rivelano che lo svilupparsi dell’epidemia ha suscitato, in singoli uomini, la paura della morte. E questa li ha spinti a domandarsi perché si vive e a dare a questa domanda concreta risposta, che è il fondamento di autentica cultura sia quando si ritiene che si viene dal nulla e si va verso il nulla, sia quando si ritiene che si viene dal Creatore di tutte le cose visibili e invisibili e si va verso di Lui. In quanto alla valorizzazione e commercializzazione dei beni culturali, come ricorda lo stesso Morin in un suo sempre valido libro del 1963, riprendendo anche quanto in precedenza rilevato da altri, esse sono gestite dall’industria culturale, che tende al profitto materiale e disconosce e avversa quel che non può entrare nella sua sfera e si presenta «sublime e maestoso in se stesso».