Dalla Napoli che si vede col volto sfigurato e non si rassegna Papa Francesco oggi arriva a Napoli. L’inverno ha da poco lasciato la città. Un ultimo sgarbo al sole, l’eclissi parziale. Napoli è l’unico posto in cui i poeti hanno cantato più il sole che la luna. Nel mondo è conosciuta come la città del sole. Non il frutto delle utopie politiche di Tommaso Campanella: titolo guadagnato sul campo. Qui il sole illumina il modo di vivere, qui il popolo è caldo.
Caliente, starà pensando il Papa venuto dalla fine del mondo. Napoli dà il suo calore al successore di Pietro, una luminosità di affetto e rispetto che non viene dal cielo: viene da questa terra, viene da un popolo che ama il Papa. Qui c’è gente che quando ama lo fa per sempre: lo sappiamo bene noi sacerdoti, che con la nostra gente condividiamo tutto. Oggi viene tra noi il pastore che odora di pecore, e che riconosce questo gregge, perché somiglia troppo al gregge lontano lasciato in un Paese che vanta la Terra del Fuoco. Qui, ai confini di una Terra dei Fuochi di cui non c’è da menar vanto, abita un cuore pulsante di cristianesimo che Francesco ha già custodito. I napoletani pullulano a Buenos Aires, è la seconda città nel mondo per presenza di partenopei. Napoli è appena la quinta: Francesco dunque oggi si sentirà a casa, sentirà che queste strade sono le sue. Strada e casa, a Napoli come a Buenos Aires, sono sorelle siamesi. Tra strade e case, Francesco sente i morsi della fame intercettati da una Chiesa che quest’anno si è data per orientamento il «Dar da mangiare agli affamati», una Chiesa che vive più per le strade che per le case. È l’esempio di Gesù. È la testimonianza del suo vescovo Crescenzio Sepe. Una Chiesa che si è preparata all’incontro col Papa meditando su tre modi di essere affamati: fame di pane, di giustizia e di futuro. Il pane qui si è abituati a condividerlo, come un abbraccio, come il caffè. A Napoli le povertà sono di casa, i poveri nascono qui e vengono qui da ogni dove, sempre accolti. La giustizia è mortificata dalla corruzione, organizzata o meno. Non ci sono i diavoli di Bernardino Daniello, ci sono tanti Zaccheo. Speriamo di trovarli confusi tra la folla, oggi, e col desiderio di salire sul sicomoro, perché Francesco, come Gesù, è venuto per stare in casa con loro. Il futuro ha bisogno di avere armi contro la paura. E la prima 'arma' oggi è la certezza di essere Chiesa, amata dal suo Papa, perché Napoli gli appartiene. Francesco può restare sempre qui. Una tentazione avvolge lui e questo nostro popolo: «Se non te ne andassi? Se rimanessi sempre con noi? Ti prego non andare via troppo presto!». La gente lo vorrebbe in casa, come amico, fratello, padre tornato dopo tanto tempo. Come figlio. C’è da scommetterci. Da oggi Francesco diventa figlio di una città avvezza a essere mamma. Francesco dunque, finalmente, è venuto. È venuto a confermare nella speranza. A Napoli non è debole la fede, ma la speranza. Negli occhi Francesco sa riconoscerne l’anelito, se ne accorge al primo sguardo. È una speranza tradita, mai sopita. La stessa additata da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Quella da organizzare per mostrare le potenzialità nascoste. Da tirare fuori per cambiare il volto sfigurato di una città e una Chiesa che porta in sé le piaghe di tanti figli che si sono perduti. Oggi Napoli dà al mondo il suo selfie: è eclissi parziale. Con Francesco il sole è pronto a riprendersi il cielo all’ombra del Vesuvio.