Più la campagna vaccinale entrerà nel pieno, più – almeno nella nostra parte di mondo – si comincerà a vedere la luce in fondo al tunnel della pandemia. Ma luce si accenderà davvero solo quando tutto il mondo sarà vaccinato e non solo qualche suo pezzo. Una sfida ancora più difficile aspetta, pero, l’umanità nei prossimi anni a venire. Dobbiamo azzerare le emissioni di anidride carbonica entro il 2050 o poco oltre per evitare aumenti di temperatura media che generino disastri climatici che rischiano di essere quasi irreversibili (quel nuovo 'diluvio universale' temuto da papa Francesco con un’efficace immagine qualche giorno fa). Ovvero dobbiamo cambiare il nostro modo di consumare, produrre, spostarci in modo da eliminare 51 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente. E la lezione imparata durante la pandemia può aiutarci.
Quando il Covid-19 ha cominciato a imperversare non disponevamo di una soluzione, ma con uno sforzo gigantesco a livello globale siamo riusciti attraverso la ricerca a trovare la via d’uscita in più vaccini. Tra la sfida del nuovo coronavirus e quella del riscaldamento globale ci sono molte analogie. C’è bisogno di uno sforzo globale immenso di ricerca per raggiungere l’obiettivo perché sarebbe illusorio pensare di farcela solo applicando tutte le tecnologie oggi disponibili.
Non è un caso che, proprio in analogia a quanto fatto sui vaccini, sia stata lanciata lo scorso mese dall’Unione Europea un’alleanza globale per l’economia circolare volta a raccogliere risorse per finanziare ricerca, innovazione e investimenti. E proprio in questi giorni il governo italiano ha presentato agli investitori internazionali il proprio prospetto per i 'Btp verdi' con soglie estremamente sfidanti in materia di investimenti per la produzione di energia, trasporti, infrastrutture ed efficientamento delle abitazioni che limitano a interventi ad alta sostenibilità ambientale gli investimenti finanziabili. Se la tecnologia esistente in questi settori decisivi rispettasse oggi tutta quelle soglie saremmo molto ma molto più vicini all’obiettivo.
Ciò che in generale dobbiamo fare è arcinoto. Trovare in campo industriale (responsabile di circa il 30% delle emissioni) modalità di produzione che utilizzino molti meno combustibili fossili, ridurre le emissioni in agricoltura, riformare il sistema dei trasporti, non solo quello urbano dove il passaggio all’elettrico e all’ibrido o ad altre forme di mobilità sostenibile è molto più facile, ma anche quelli a lunga distanza attraverso navi ed aerei. Dobbiamo inoltre trasformare il rifiuto e lo spreco in risorsa attraverso innovazioni di economia circolare e aumentare significativamente la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili ed rendere più efficienti i nostri edifici.
Anche in questo campo lentezza e inutili complicazioni purtroppo ancora caratteristiche dell’amministrazione pubblica diventa un tappo che limita le possibilità di progresso. Aumentando i tempi e i costi delle autorizzazioni per i processi innovativi di economia circolare (i decreti del fine vita dei prodotti) e la produzione di energie rinnovabili (l’autorizzazione di nuovi siti) si ritarda infatti il cambiamento e l’adozione delle tecnologie che possono abbattere significativamente le emissioni.
Come nel caso del Covid-19 solo un salto in avanti dell’innovazione (che però intravediamo come possibile) può consentirci di percorrere l’ultimo miglio che ci manca. Disponibilità sempre maggiori di finanziamenti pubblici e privati e progresso tecnologico possono consentirci di abbattere i costi della transizione e renderla possibile.
Il compito dei governi dunque è quello di stimolare ricerca e cambiamento di comportamenti di cittadini e imprese con un opportuno insieme di finanziamenti e incentivi fiscali. Quello di noi cittadini – ripeto ancora una volta – è di 'votare col portafoglio' e con i nostri stili di vita per contribuire all’affermazione di pratiche più sostenibili per assicurare il futuro di tutti. Ma anche il 'voto col portafoglio' pubblico attraverso l’estensione dei criteri minimi ambientali negli appalti a tutti i settori possibili è altrettanto importante.
Come nel caso della pandemia anche l’emergenza climatica dipende in misura importante, anche se non esclusiva, dalle possibilità economiche di persone, comunità e popoli dunque anche in questo caso i disastri si abbatterebbero in modo molto più violento su chi non ha risorse per fronteggiarli. Non a caso una campagna della Caritas internazionale aveva indicato la prospettiva della 'giustizia climatica'. I primi, faticosi e imperfetti successi della vaccinazione di massa in alcuni Paesi sottolineano l’urgenza di un gigantesco sforzo di coordinamento globale per battere il coronavirus e indicano il metodo per affrontare la prossima temibile sfida.