Il metodo non è solo sussurro
domenica 2 giugno 2019

All’inizio era solo un sussurro che non riuscivi a capire bene. «Cosa stanno dicendo?». Poi, a poco a poco le voci si aggiunsero l’una all’altra fino a diventare un coro. Forte. Ritmato. Spontaneo. «Unitate, unitate!», cioè «Unità, unità!», chiedeva la gente e quell’invocazione assomigliava tanto a un comandamento, a una chiamata, a un mandato impossibile da ignorare. Da quel giorno sono passati vent’anni. Eppure per capire il viaggio di papa Francesco in Romania bisogna partire proprio da lì, dal grido della piazza di Bucarest che avvolse come una coperta "ecumenica" Giovanni Paolo II e il patriarca ortodosso Teoctist subito dopo la Messa che chiudeva la visita del Pontefice polacco. Era il 9 maggio 1999. Anche se molte promesse sono rimaste tali, per il dialogo tra le Chiese il tempo non si può dire sia passato invano. Oggi i nodi da sciogliere appaiono più chiari, le occasioni di incontro si sono moltiplicate, le distanze ravvicinate.

A testimoniarlo, l’immagine, plastica, della preghiera del Padre Nostro nella nuova Cattedrale ortodossa di Bucarest. Papa Francesco e il patriarca Daniel l’hanno recitata l’uno accanto all’altro ma non insieme. Il Vescovo di Roma in latino, il leader ortodosso nella sua lingua natale. Perché una delle regole del cammino di riconciliazione tra comunità separate è la chiarezza dei rapporti, il rispetto delle differenze. Lo ha sottolineato lo stesso Daniel ricordando l’aiuto economico vaticano alla costruzione del grande tempio dall’imponente iconostasi, e il sostegno delle diocesi cattoliche alla comunità romena in diaspora. Solo in Italia sono ben 306 i luoghi di culto messi a disposizione dei fedeli ortodossi emigrati nei nostri confini. «Per questo motivo – ha spiegato – abbiamo accettato la proposta di offrire a vostra Santità e ai credenti cattolici presenti in questa Cattedrale la possibilità di recitare il Padre Nostro in latino».
Come a dire che la preghiera non può essere sganciata dalla vita quotidiana, che il progresso è tale solo se mette al centro la persona, che, per riprendere un’immagine usata da Francesco a Bucarest, la direzione di marcia non può essere imposta dal dilagante potere dell’alta finanza. Anzi, al contrario, una società è tanto più civile quanto meglio si prende a cuore i più fragili e svantaggiati, gli ultimi. Mentre anche nei consessi ufficiali e nei salotti buoni della borghesia milionaria, la solidarietà viene presa liberamente a schiaffi e la carità insultata come se fosse una parolaccia, le Chiese cristiane di Oriente e Occidente si trovano concordi nel denunciare gli effetti negativi di una globalizzazione omologante.

Come l’aumento della forbice tra ricchi sempre più ricchi e i poveri, lo sradicamento dei valori tradizionali, l’inquinamento, e siamo in piena attualità, del vivere comune con sentimenti di paura, spesso costruiti ad arte, che portano a odio e chiusure. Da un Paese che pur abitando alla periferia dell’Unione resta profondamente europeo ed europeista, arriva un nuovo grido d’allarme per il futuro di un continente che vorrebbe essere 'comunità' e che troppo spesso al contrario appare come un rigido insieme di strutture asettiche e invadenti, talvolta disumane. Il domani, se si vuole che ci sia un domani, passa invece pure per il recupero delle radici cristiane, che significa anche cura della persona, salvaguardia di chi ha meno, attenzione all’anima dei popoli. Non una formale rivendicazione identitaria dunque, o almeno non solo, ma la riscoperta di un patrimonio comune su cui costruire legami nuovi e più profondi, nel segno del rispetto delle differenze e di un’integrazione non velleitaria ma concreta, efficace, matura.

È in questo senso che l’ecumenismo è una strada (e un esempio) che invita a camminare insieme anche sul terreno della prassi. A partire dal recupero della memoria, dall’ascolto condiviso della Parola, nella direzione di una nuova Pentecoste. Perché, credono i cristiani, è Lui, lo Spirito, a guidare l’itinerario verso l’unità. Che non si sa in che modo e in quali tempi potrà realizzarsi. Se e come tutelerà le rispettive differenze. Chissà, magari con approcci diversificati a seconda delle latitudini e delle culture di origine. Il segreto, il punto di partenza per il semplice credente è la docilità, l’essere disponibile a mettersi in cammino. Insieme. Senza spegnere ma anzi restando sempre in ascolto di quel grido che sale dal basso e che risponde a una precisa chiamata di Gesù: che tutti siano uno. «Unitate, unitate!». Unità.

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