venerdì 7 luglio 2023
Oggi viviamo in un mondo nel quale la parità tra uomini e donne è molto più profonda di diversi decenni fa, ma i reati contro le donne sono in aumento, segnale di un malessere profondo
Superare la dimensione del narcisismo per scoprire la forza delle relazioni vere, forti e profonde, chiave per ricomporre il maschile

Superare la dimensione del narcisismo per scoprire la forza delle relazioni vere, forti e profonde, chiave per ricomporre il maschile

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C’è un particolare status, a dire il vero poco particolare perché condiviso da quasi metà popolazione, che non gode affatto di buona salute: quello di maschio. L’essere uomo del genere umano. Viviamo un tempo in cui si avverte il bisogno di mettere a fuoco una risposta all’antica domanda: Chi è l’uomo, che è venuto a fare sulla terra? L’umanità, certo; ma anche proprio lui, il maschio dei Sapiens. Colui che, se si accende una guerra, riempie gli schermi e i tragici racconti in televisione, tra le file di chi uccide. Era ora, si potrebbe dire, che si sentisse un po’ a disagio dopo milioni di anni di supposta cavernicola superiorità. Per ere geologiche ha goduto di una gloria riflessa nella presunta inferiorità del femminile. Gloria passata, finalmente. Eppure, in Italia, se diminuiscono i reati contro la persona, non accade lo stesso per quelli che hanno come radice la violenza di uomini contro donne.

Nessuna persona di puro buon senso dubiterà che sia possibile definire un’identità anche per sottrazione. Nel senso di eliminare caratteri. Le sculture, profondamente identitarie, sono l’eccelso risultato di un levare. Ma del marmo, base di partenza, deve rimanere. E l’uomo nerboruto, esagerato e brusco è un maschilista a cui togliere, perché diventi presentabile. Ma per definire un’identità non si potrà neppure prescindere dal collocare, dal valorizzare qualcosa che non solo rimanga ma che brilli, sostenga, sia degno d’essere mostrato e indicato a modello. Altrimenti, se togli e basta, si presenta il vuoto. E il vuoto è una bomba ad orologeria: prima o poi qualcuno o qualcosa lo riempie e scoppia. L’uguaglianza percepita e reale è, ad ogni modo, molto più profonda oggi di diversi decenni fa, frutto di lotte e nobili conquiste. Quando, nel 1974, il primo ministro in Israele era una donna, Golda Meir, a forza di vederla al telegiornale accanto alla totalità degli uomini politici dell’epoca, chiesi a mio padre perché in quel paese il capo del governo mandava sempre in giro sua moglie. Avevo otto anni. Oggi, a otto anni, a nessun bambino che vive in Italia verrebbe in mente una tale involontaria freddura.

Purtroppo rimangono scorie di un passato che ancora resiste, se è vero che non di rado la gravidanza è percepita come un rischio e un fardello, per il mondo del lavoro. Ma sarebbe ideologico, non rilevare che viviamo in un altro mondo, più giusto ed equilibrato, più ragionevole. Eppure, sono vicini di casa uomini che uccidono le persone di cui si dicevano impetuosamente innamorati, padri e figli maschi i cui eccessi senza freno provocano incidenti mortali e prevedibili e uomini d’ordine che compiono quei reati che dovrebbero prevenire: tutto questo fa molto rumore, molto più di un padre che perde la vita per tentare di salvare un figlio che sta per suicidarsi o di tanti edificanti giovani che nell’ordinario quotidiano, senza neppure un esame di psicologia, interpretano benissimo il ruolo di marito e di padre, senza sparire né fare i mammi o gli amanti. E padre lo diventi anche grazie a un presupposto semplice: essere nato maschio del genere umano. Come il marito o il prete.

Ma il rumore e la discussione – spesso la canea – vanno affrontati, non si può far finta di nulla, perché sono segno del bisogno di una risposta. Che per essere seria deve essere calma, non affidata al solo comprensibile sdegno e alla legittima rabbia. La parola “identità” è diventata un rischio. A sinistra, viene accusata di essere di destra e a destra viene rivendicata come qualcosa che “noi abbiamo” e loro no. Un circolo vizioso da fuggire. Gesù, uomo vero, ha una identità forte. Chiara e fondata. Non ha nulla di fluido né di vago, impreciso o indeterminato e perciò inafferrabile. Proprio questa è la sua forza: solo chi è saldo in ciò che crede, propone e vive, sarà anche capace di incontro, di parlare con tutti, di entrare pacificamente in dialogo con chi è diverso. Sarà capace di mediazione, che non vuol dire svendita al ribasso della nobiltà di una posizione. Solo l’incerto e il titubante hanno paura di incontrare qualcun altro e di cominciare una relazione profonda. E l’altro, è sempre un diverso da noi. L’arcivescovo Montini, a Milano, durante una predica di nozze del 1956, disse: «Sarebbe da dire: un matrimonio ideale deve essere un matrimonio felice. Sì, ma non è la parola che mi soddisfa… io vorrei che la vostra famiglia fosse forte. Questa è la parola ». Forte non è violento. E una relazione forte la fanno persone che si sono andati a cercare la buona forza da qualche parte. Solo la forza sa diventare anche moderazione, controllo, limite agli eccessi e alle esasperazioni. Abbiamo bisogno di riscoprire l’antica virtù della temperanza, che probabilmente è più maschile solo nella misura in cui lo è il suo campo di intervento: l’esagerazione, il gonfiarsi.

Ad ogni modo, anche il Davide di Michelangelo, se togli troppo, collassa. Luigi Zoja e molti altri hanno spiegato con chiarezza che ogni stagione in cui le rappresentazioni della mascolinità sono entrate in crisi, si è manifestata una reazione contraria, per ristabilire un’identità smarrita, che ha provocato enormi danni. È quello che scriveva Antonio Gramsci: «Quando il vecchio non muore e il nuovo stenta a nascere nascono i mostri. E in questo vecchio che stenta a morire – anche se i vecchi modelli diventano fatiscenti – e questo nuovo non trova riferimenti per esprimersi, si agita il maschile producendo spinte contraddittorie e distruttive». Dobbiamo ricominciare da un concetto semplice: il vuoto. Un’occasione, non una condanna. Un punto di partenza. Una società che, nel vergognarsi di ideologie da accantonare, cancella anche le idee, le visioni e non propone modelli culturali e progetti solidi, è una società destinata a generare vuoto. Ma il vuoto, da solo, non si dà. Lo spiega alla perfezione il Vangelo di Luca, quando Gesù offre un’immagine efficace del male, paragonato ad uno spirito malvagio che cerca di penetrare nell’uomo e, quando si accorge che questo è come una casa “adorna e spazzata”, si accomoda e inizia a manipolare il padrone di casa. Adorno e spazzato significa vuoto. Significa che le peggiori atrocità come la soffocante indifferenza, la cecità e le più crudeli insensibilità prosperano nel vuoto. Uomini vuoti sono pericolosi. Non si reggono in piedi. Sprofondano nella melma dell’indeterminatezza e cadendo fanno molto male, agli altri e a sé stessi.

Eppure, il vuoto, è anche un invito, un’opportunità, una proposta da accogliere. “ Che cos’è l’uomo, perché tu te ne curi? Eppure, l’hai fatto poco meno degli angeli”. Ma gli angeli sono pieni di grazia, non sono vuoti. Ho in mente tanti volti di ragazzi, di giovani uomini che smettendo di curare solo le manifestazioni del loro narcisismo si sono trasformati in angeli per tanti bambini, per anziani soli, per i loro figli e le loro famiglie. Hanno imparato benissimo a distinguere il falso, la realtà “virtuale”, da quella vera, fatta di relazioni, di carne, di cuore. Persone partite fragili ma diventate forti, forgiate dalla forza del Vangelo e dell’amore, temprate dall’incontro/ scontro con la sofferenza, le difficoltà, le battaglie della vita. Soffrire, consolare, fare da sostegno alla vita degli altri è roba da forti. Non si tratta solo di mantenere le differenze, che son già ineliminabili. Si tratta di capire come viverle, per migliorare sé stessi, il mondo e trovare nel Vangelo e nella vita cristiana quella forza che sia antidoto alla violenza e un’affidabilità che freni un’ansiogena liquidità.

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