Gentile direttore,
don Alberto Vigorelli è comparso in giudizio a Como perché nel novembre del 2016 – secondo le cronache di alcuni giornali – si sarebbe «scagliato» (testuale) contro il leader della Lega e allora ministro dell’Interno «in difesa dei migranti». Don Alberto in realtà aveva detto, citando il Vangelo secondo Matteo: «“Ero straniero e mi avete accolto”. Quindi o si è cristiani o si sta con Salvini». Si è detto e scritto che don Alberto «odia Salvini», ma anche questo non è corretto. La predicazione del Vangelo è ispirata solo dall’amore e non dall’odio. Il processo è stato aggiornato al 14 maggio prossimo. Sembra da escludere un accordo tra le parti. «Io non rinnego il Vangelo», ha commentato il confratello sacerdote nel lasciare l’aula del giudice di pace di Como. A mio avviso, don Alberto è stato abbastanza benevolo. Gesù è molto più duro nella condanna: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ero forestiero e non mi avete ospitato» (Mt 25,41-43). Non soltanto Salvini ma qualsiasi cristiano che non ospita un forestiero è male-detto, non lo si può, cioè, bene-dire. Credo che il giudice di pace interessato saprà ben giudicare, altrimenti tutti noi cristiani, non potendo accettare un “Vangelo secondo Matteo ...Salvini”, dovremmo autodenunciarci. La ringrazio.
don Vincenzo De Florio, 92 anni, già Fidei donum tra i Rom e in Brasile
C’è un solo Vangelo secondo Matteo, gentile e caro don Vincenzo. E lei mi insegna che si può anche far finta di non capirlo e persino tentare di manometterlo, ma con quei versetti del capitolo 25, 31-46 alla fine dobbiamo farci i conti tutti.
Tutti, infatti, ne siamo scossi e ne veniamo interpellati, cristiani o no. E questo non perché qualcuno arriva ad accusarci e magari ci denuncia, ma perché – bene o male – siamo vivi e siamo qui, proprio ora, in questo umano tempo, sotto l’infinito sguardo d’amore e di verità di Gesù Cristo. Penso che a ciascuno di noi, prima o poi, tocchi di sperimentare e di condividere l’esigente concretezza di quell’essenziale tesoro di sapienza, di giustizia e di misericordia che l’evangelista ci ha consegnato come bussola per la nostra vita. E anch’io ho espresso sbalordito e fermo disaccordo con quello stesso politico che, in campagna elettorale e poi da ministro e ancora da oppositore, va ripetendo che l’accoglienza insegnata da Gesù ha limiti e non è per tutti.
Ognuno infatti ha occhi per leggere e vedere, orecchi per ascoltare e coscienza per valutare ciò che viene detto o stradetto, fatto o commesso sulla scena pubblica sulla pelle dei senza potere, dei senza voce, dei senza niente. Un pastore d’anime, un prete che alla Parola che è Cristo ha consacrato tutta la sua vita e il servizio ai fratelli, non può rinunciare – credo – ad accompagnare e ad aiutare a capire dov’è il vero tesoro, e dove sono la contraddizione e la coerenza. Ma lui per primo sa anche che il vero giudizio è soltanto di Dio.
A tutti noi, comunque, nel civile dialogo e anche nell’acceso dibattito, spetta la prova dura e necessaria di saper unire mitezza e chiarezza. La mia piccola esperienza – molto più piccola e meno importante della sua, padre caro – mi ha insegnato che anche quando ci si illude di essere riusciti a compiere quel piccolo umanissimo miracolo, cercando parole limpide e rinunciando all’asprezza, si scopre che c’è sempre qualcuno che è rimasto ferito e persino amareggiato. Non possiamo scoraggiarci per i fallimenti, così come non possiamo gonfiare il petto e alzare i toni dopo i successi. La sfida – cristiana e civile – è quella di non arrendersi all’indifferenza e al silenzio, di saper bene-dire anche in tempi infestati di male-dizioni di mai rassegnarsi alla logica della sopraffazione e della guerra. Un grazie pieno di affetto, don Vicenzo, per la sua lunga e generosa missione.