Caro direttore,
mi fa fa piacere che anche una "firma" del settimanale "l’Espresso", Sandro Magister, abbia deciso di commentare pubblicamente nel suo spazio internet un mio articolo per "Avvenire" che lei, direttore, ha messo in pagina domenica scorsa, 4 giugno, e che ha titolato suggestivamente «Luci accese per i lupi». Ma mi ha stupito e amareggiato che lo abbia fatto estrapolando parti di ciò che ho scritto dal loro contesto per usarle per screditare la coraggiosa apertura verso l’altro di papa Francesco, e come lui e assieme a lui, del nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Gualtiero Bassetti. Lo trovo disdicevole. La differenza fra il Papa e quelli che lo criticano da destra o da sinistra è che, mentre questi ultimi, partendo da prospettive ideologiche diverse, trattano i musulmani come un pericolo, un elemento di crisi, un problema, lui li tratta, secondo quanto gli detta il vero amore che ha per loro, amore di cristiano sincero, prima di tutto come persone, come esseri umani. La scienza analizza i fenomeni e, per poterli comprendere, ci mette di fronte a fatti puri e semplici. Tuttavia, ciò che facciamo di questi fatti puri e semplici cade al di fuori della sfera scientifica. La formulazione di giudizi su una persona o su un gruppo umano sono pertinenti a un altro ambito, quello dell’etica. Dopo ogni attacco terroristico, i codardi e gli ipocriti si mettono a criticare il Corano, mentre i coraggiosi, come il Papa, gridano in faccia all’assassino. Per capire papa Francesco, si dovrebbe provare ad avere il suo amore e la sua etica, e prima ancora il suo coraggio, perché sinora non ho sentito nessun altro denunciare con chiarezza il commercio di armi e il suo ruolo nell’alimentare le guerre e il terrorismo. Solo lui lo fa. Sono fermamente convinto, pur mantenendo le critiche alla tradizione religiosa alla quale appartengo, che il grande problema non sia il Corano, ma la distanza che si è creata - e diventa ogni giorno più grande - fra gli interessi e i valori dell’Europa. Voglio essere ancora più chiaro: la "civiltà superiore" dei nostri tempi, che s’irradia ancora da Occidente, sembra essersi ridotta a un luogo dove si concepisce un ristretto margine di scelta fra il male minore e il male peggiore, fra un Obama e un Trump, e persino fra il fascismo religioso e la dittatura laica. A me non sta bene, così come non riesco a far finta di nulla davanti a letture capziose di ciò che dico e scrivo da tempo, anche sul suo giornale.
Wael Farouq
Capisco bene, gentile professore e caro amico, perché abbia sentito la necessità di scrivere questa lettera. Per un accademico come lei, di sincera fede musulmana e di salda cultura democratica, che affronta con coraggio estremismi nemici giurati di vita e dialogo, non è facile abituarsi all’uso capzioso di ciò che con coerenza, e cognizione di causa, si cerca di argomentare e civilmente di dibattere accettando il dialogo e il contraddittorio con chiunque. Dico spesso che a manipolazioni (anche raffinate) e strumentalizzazioni (persino grossolane), che sono qualcosa di ben diverso dal libero commento e dalla critica costruttiva, non è facile abituarsi, e in certi casi non è neppure giusto. In questo suo caso non protestare, sia pure con il garbo che le è proprio, sarebbe stato un regalo immeritato per chi ha ritenuto di "usare" malevolmente e maldestramente il suo editoriale contro papa Francesco e contro il cardinal Bassetti. Posso dirle, caro professor Farouq, che ha fatto bene a scrivere a me perché ho sperimentato di persona che da certi pulpiti, purtroppo, non si sa mai chiedere scusa (magari si rimuovono forzature ed errori, ma senza ammettere di aver sbagliato). E io ormai da anni divido un po’ tutti, a cominciare da coloro che fanno il mio mestiere, in quelli che sanno riconoscere gli sbagli e quelli che rifiutano di farlo e li confermano persino con malizia. Solo per i primi ho stima, per gli altri ho pena.
Personalmente ho scelto da tempo di non replicare, se non in casi eccezionali, a giochetti cattivi e a polemiche ingiuste che riguardano ciò che dico e scrivo. E questo perché ho la possibilità di "firmare" ogni giorno questo giornale e credo che il lavoro che faccio e che dirigo, se lo si considera appena un po’, riesca a dire abbastanza compiutamente di ciò che penso e del modo con cui mi impegno, assieme ai miei colleghi e collaboratori, per servire la libertà dei lettori, ma anche della passione umana e della gioia cristiana con cui tentiamo di onorare la nostra dichiarata ispirazione cattolica. Che naturalmente si fonda – altrimenti che cattolici saremmo? – su un ascolto attento e pieno di fiducia della testimonianza del Successore di Pietro, il nostro Papa.
Anche per questo, qui ad "Avvenire", alla scuola del Papa e dei nostri vescovi, siamo anche capaci di rispettare la fede degli altri e di distinguere chi, nei mondi musulmani e altrove, cerca Dio con onestà da chi pretende di trasformarlo in complice delle proprie ingiustizie e violenze. Per questo accogliamo con ammirazione e gratitudine il contributo di quanti, come lei, testimoniano con coraggio un sentire islamico che condivide lo spirito di fraternità generato dall’amore cristiano. La forza di queste parole di verità e dei gesti di pace e di buona fede, offerti insieme come pane al mondo, è più grande di ogni malevolenza.