In principio, più o meno un quarto di secolo fa, era stato Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca stimata e autorevole guida di una Banca d’Italia non ancora dimezzata dalla devoluzione di poteri e funzioni alla Bce di Francoforte. Il futuro premier e capo dello Stato, leggendo una delle sue ultime "Considerazioni finali" nei saloni ovattati di via Nazionale, per la prima volta, a memoria di cronista, espresse in un documento ufficiale dell’establishment politico-economico un cenno ai rischi per il futuro del Paese derivanti dalla decadenza demografica, che già si andava profilando con chiarezza. Attenzione – questo in sostanza l’avvertimento che trapelava – perché la crescita del nostro sistema produttivo, e quindi la prosperità dei cittadini, non può essere alimentata troppo a lungo se le nascite si contraggono sistematicamente.Da quel 31 di maggio molti eventi si sono susseguiti sulla scena nazionale, molti protagonisti si sono avvicendati al timone della nave Italia e ben sei legislature si sono aperte e chiuse, mentre gli allarmi sul "suicidio" demografico si sono moltiplicati. Del tutto inutilmente, visto che nessuna concreta iniziativa è mai stata intrapresa per contrastare un declino che, nel frattempo, si è purtroppo accelerato, nonostante il sopravvenuto boom degli immigrati e l’apporto dei loro sempre meno numerosi figli. Si capisce così facilmente perché, tra i sette punti della sua "agenda strategica" in vista del voto di domenica, il Forum delle associazioni familiari abbia messo con convinzione il trittico «sostegno a vita-natalità-famiglie giovani».Ieri il "cartello" degli organismi di ispirazione cristiana ha tirato le somme della sua campagna di sensibilizzazione tra partiti e candidati, presentando le adesioni di circa 300 candidati al suo pacchetto di proposte e preannunciando l’avvio di una nuova serrata battaglia all’aprirsi della nuova fase parlamentare. Battaglia che, accanto alle nascite, vede al centro la valorizzazione e la difesa della famiglia "costituzionale", l’unica che garantisce il futuro del "sistema Paese" e che, pertanto, ha il sacrosanto diritto di non vedersi equiparare ad altre formule di convivenza fondate, per definizione, su desideri e interessi individuali, per quanto degni e rispettabili essi siano.Di qui discendono anche le pressanti richieste riguardo al trattamento fiscale dei nuclei (a partire dal "fattore famiglia"), al rilancio di politiche occupazionali e di welfare che garantiscano la loro sopravvivenza, alla possibilità di scegliere con effettiva libertà gli indirizzi formativi per i figli. E alla luce della sentenza della Corte di Strasburgo sul caso austriaco di adozione per una coppia gay, si giustifica non meno l’allarme per una deriva europea che, con una incomprensibile dose di leggerezza, viene indicata come un punto d’arrivo inevitabile anche per la nostra legislazione.A tre giorni dall’apertura dei seggi elettorali, impressiona davvero la distanza siderale tra il grado di attenzione riservato nel dibattito politico ai temi dei cosiddetti "nuovi diritti", a fronte dello scarsissimo rilievo assegnato ai veri nodi che avviluppano le condizioni di vita di milioni di famiglie italiane. Eppure, almeno a parole, tutte le analisi degli esperti concordano nell’assegnare alla cellula primaria della società il merito di una tenuta straordinaria di fronte alla crisi.Adesso, però, i margini di resistenza si stanno assottigliando in maniera drammatica. E non è più tempo di giaculatorie generiche su sostegni o riduzioni di tasse, sempre più o meno graduali, sempre più o meno condizionati dall’andamento dei conti pubblici. È tempo invece di una rivoluzione culturale che metta al centro dell’interesse nazionale il maltrattato "cittadino famiglia", uscendo dal paradosso di un Paese a parole tradizionalista e conservatore, ma che nei fatti appare caparbiamente impegnato a segare il ramo sul quale è seduto.