giovedì 22 maggio 2014
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​A quarant’anni di distanza dal referendum che di fatto confermò la legge sul divorzio, il Parlamento italiano ha avviato l’iter per l’introduzione del rito breve, in base al quale, se la legge verrà definitivamente approvata, sarà possibile sciogliere il vincolo matrimoniale in 6 mesi. All’unica condizione che le parti siano consenzienti. La coincidenza tra la nuova normativa – che, rendendo possibile il "divorzio veloce" dà il senso di un’ulteriore perdita di profondità della relazione matrimoniale – e la ricorrenza quarantennale è una buona occasione per riflettere sui mutamenti intercorsi in questi anni e sulla situazione nella quale ci troviamo oggi. Retrospettivamente, si può ben vedere che allora, con la legge sul divorzio, eravamo solo all’inizio di una strada lungo la quale, in questi decenni, la nostra società ha poi compiuto diversi passi ulteriori: la famiglia regolare sta diventando minoritaria – già lo è tra le nuove generazioni – si diffondono le convivenze e i nuclei familiari costituiti da membri provenienti da due o più famiglie precedenti, si rafforza la richiesta di un matrimonio omosessuale. La slavina sembra essere diventata una valanga.
D’altro canto, non si può non constatare che una dinamica simile si produce in tutti i Paesi occidentali (e non solo). Segno che siamo di fronte a un processo profondo che, per essere affrontato, ha bisogno di essere prima di tutto compreso. La legge, nelle democrazie contemporanee, ormai privata di un qualche riferimento etico-valoriale viene dopo. Essa mira a una mera regolazione del dato di fatto e dei costumi emergenti. In effetti, le legislazioni di questi decenni hanno preso atto (e, in questo modo hanno contribuito a legittimare ulteriormente) di trasformazioni già cominciate nella società. Se posso permettermi, mi pare che la questione sia la stessa di quella che Papa Francesco ha individuato parlando, qualche giorno fa, di fronte ai tanti riunitisi a Roma per manifestare a sostegno della scuola. In quella occasione, iniziando il suo discorso il Papa ha voluto subito chiarire lo spirito con cui tale manifestazione doveva essere vissuta e intesa: non contro, ma a favore. A favore di una scuola bella, capace di entusiasmare ed essere davvero al servizio dello sviluppo umano. Una scuola (e così potremmo dire oggi, una famiglia) da festeggiare. In effetti, di fronte alle gravi difficoltà che vivono le famiglie del nostro tempo, più che porsi in opposizione (come si fa a fermare una valanga?) occorre chiedersi come si può fare per rilanciare la famiglia. Per recuperarne il senso, prima ancora che il posto o la legge, A partire da una nuova narrazione.
Qual è dunque il punto che è venuto meno in questi anni? Per la generazione dei miei genitori fare una famiglia significava ancora decidere di vivere l’avventura della vita insieme. Significava riconoscere il senso profondo che sta dietro all’incontro con il proprio coniuge e alla decisione di trasmettere la vita ad altri esseri umani. Inscrivendosi nella sequela delle generazioni – nella cornice del tempo storico, ma anche nel quadro dell’eterno – essi si davano reciprocamente un nome, potendo diventare così una casa per altri. Sposarsi significava altresì stipulare una alleanza più larga e profonda, che coinvolgeva una rete di relazioni e legami più ampi del nucleo originale: un mondo, fatto di genitori, fratelli, vicini, amici con cui era ancora possibile fare un pezzo di strada insieme. Una comunità che aiutava la famiglia a respirare e a non implodere su se stessa. Anche se non del tutto perdute, molte di queste componenti oggi non si possono più dare per scontate. Anzi. I fenomeni sopra richiamati si producono sotto l’azione di potenti forze solventi, tutte volte a disgregare il rapporto familiare (che, come qualsiasi altro rapporto, è spinto ad adeguarsi al modello della temporaneità e strumentalità). Tali forze sono fondamentalmente costituite da un mix di individualismo consumistico (per cui anche le relazioni si consumano), potenza tecnica (l’avvento della pillola è il vero motore della liberalizzazione sessuale: essa mette fuori gioco e rende tendenziosamente inutile il delicato lavoro di cura e costruzione del senso da parte delle comunità culturali) e proceduralismo istituzionale (la norma serve per regolare in modo neutro le volontà individuali).
In questo contesto, è come se tutti vivessimo sul ponte di una nave che veleggia nel mezzo dell’oceano della vita. Sul ponte – dove tutti siamo, volenti o nolenti, consapevoli o meno – tira un vento fortissimo per cui è difficilissimo stare in piedi. Figurarsi rimanere ancorati a qualcosa. Su quel ponte (da cui nessuno può scendere e sul quale non esiste riparo sicuro) tutto sembra assoggettato al destino della separazione. Della perdita di senso. Tutto sembra doversi piegare alla logica del frammento, cioè dell’istante, della pura emozione. È questa la verità che il tempo ci propone. Costituire una famiglia e farla durare diventa un’impresa difficile, comunque improbabile. Al punto che molti adottano una strategia di riduzione del danno: dato che nessuno può dire come andrà a finire, meglio non sposarsi. E comunque rendiamo facile lo scioglimento. La maggiore flessibilità del modello di vita contemporanea si paga con la perdita di spessore del vincolo matrimoniale. L’indebolimento è ulteriormente facilitato dal venir meno di una narrazione credibile della famiglia. Nella società del benessere è passata l’idea che sposarsi comporta la triste rinuncia alle meravigliose possibilità che la vita individuale dovrebbe riservare. Da molto tempo lo sposarsi non viene più associato all’idea di partire per un viaggio, affascinante e misterioso, in compagnia della persona che abbiamo incontrato. Un viaggio carico di desiderio, di speranza, di avventura. Se l’obiettivo di un matrimonio sono l’acquisto della casa, il suo mobilio, le vacanze al mare e quello che Gauchet chiama il "figlio del desiderio" è chiaro che la famiglia non potrà essere più una forma che accompagna e sostiene il desiderio umano. La deriva culturale del nostro tempo è, dunque, fortissima. Per questo, non bastano le barricate. Solo un rinnovato rilancio dell’idea (e della pratica) di famiglia audace che sa rinnovare le sue stesse forme di vita può pensare di invertire il trend. A partire dalle forme abitative. Nella serena convinzione che i modelli che oggi vanno per la maggiore rimangono incapaci di eguagliare la profondità di vita e di senso di cui la famiglia è capace.
Per la Chiesa, in particolare, la sfida si pone in relazione al ruolo e al significato del sacramento del matrimonio. La perfetta sovrapposizione tra il momento civile e quello religioso ereditata dal passato rischia di comportare, nella stagione aperta con la legge sul divorzio, lo smarrimento della natura sacramentale del matrimonio. Conseguenza "inevitabile" in una società che tende a essere costituita da individui isolati tenuti insieme da infrastrutture tecniche e istituzioni proceduralizzate. E che, proprio per questo, fa una gran fatica a dare profondità alla realtà e alla esperienza. Di fronte a una simile realtà, occorre interrogarsi sulle forme in cui la dimensione sacramentale del matrimonio può essere proposta e vissuta. Come in un passato lontano, così anche oggi solo facendo leva sulla profondità di questa dimensione si potrà cominciare a guarire il nostro tempo.
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