Caro direttore,
«assumersi nuove responsabilità» ed «elaborare nuove 'idee ricostruttive» per la democrazia del nostro Paese», come invita a fare il presidente della Cei cardinal Gualtiero Bassetti, è senz’altro il compito principale per i cattolici in questa nuova fase politica. Innanzitutto è indispensabile la coscienza del tempo in cui viviamo: siamo come ci ricorda papa Francesco, non in un’epoca di cambiamento ma in un cambiamento d’epoca. Dopo un buon trentennio di globalizzazione liberista e di unilateralismo nelle relazioni internazionali, dimostratisi non più capaci di dare risposte al disordine sociale, alle disuguaglianze crescenti, ai conflitti e alle guerre che hanno provocato, sta emergendo un «nuovo discorso politico», che, come ha osservato il prof. Mauro Magatti, «prende partito per le vittime» del vecchio sistema: i ceti lavoratori e popolari e la classe media. La quale, banalmente, nel momento in cui all’astensionismo è tornata a preferire la partecipazione al voto, si è riscoperta maggioritaria e capace di incidere in modo determinante nella definizione dell’agenda politica di questa nuova fase. Un mutamento che può sorprendere solo quanti non hanno ascoltato quanto diversi istituti di ricerca certificano da anni: siamo divenuti una «società dei tre terzi», in cui i due terzi prevalenti non sono più composti da 'garantiti' bensì da 'disagiati' a vario titolo.
Occorre, dunque, saper distinguere fra le forze che in modo contingente hanno più beneficiato delle nuove tendenze espresse dall’elettorato, e i problemi sottesi a tale fenomeno. E, conseguentemente, saper resistere a una duplice tentazione: da una parte lo scontro frontale, la demonizzazione di chi, malamente a mio giudizio, interpreta le istanze principali emerse, non solo in Italia, dalle urne; e dall’altra resistere alla tentazione dell’imitazione che serpeggia in certi maître à penser che già iniziano a sussurrare di non lasciare il tema della nazione ai nazionalisti, nel subdolo e illusorio tentativo di mantenere una continuità con il primato dell’economia sulla politica su scala globale. Ed è proprio questa, a mio giudizio, la prima e fondamentale idea ricostruttiva per questa nuova fase politica nella quale i cattolici impegnati in politica devono esser consapevoli della necessità di un cambio di paradigma nelle politiche nel senso indicato dal documento vaticano Oeconomicae et pecuniariae quaestiones: «Il denaro deve servire e non governare». Un punto talmente importante da determinare il destino dell’Unione Europea il cui futuro è a rischio più che per la minaccia populista per la ferrea ostinazione dei poteri finanziari e di qualche Paese membro a mantenere le politiche monetarie avulse da quelle sociali ed economiche, dal controllo della politica.
La via per 'rammendare' e unire, in ultima analisi passa dalla capacità di mettere in campo un progetto, che, per quel che mi riguarda, non può prescindere dalla prospettiva della costruzione di una 'Coalizione per la domanda interna', capace di comporre interessi vitali e diffusi, dei più deboli con un quadro di solidarietà, apertura, cooperazione in grado di inaugurare una nuova fase di sviluppo e di speranza per l’Italia e per la Casa comune europea.
già presidente nazionale Acli