A due anni di distanza dall’invasione russa dell’Ucraina, il conflitto continua ad avvitarsi lungo una china che diviene ogni giorno più pericolosa. Anche perché Putin è abilissimo nel trarre vantaggio dalle incertezze e dalle divisioni occidentali. Col rischio che tutto precipiti verso esiti ancora peggiori.
Come insegna la teoria sociale, i comportamenti delittuosi seguono una “carriera deviante” che, passo dopo passo, porta a compiere le azioni più efferate. Ecco perché la prima preoccupazione di chi non vuole cedere ai disegni bellici del leader russo dovrebbe essere quella di evitare di contribuire, seppure involontariamente, all’esito che si intende evitare.
Negli ultimi mesi sono almeno tre i punti critici della risposta occidentale che Putin ha saputo utilizzare a proprio vantaggio.
Di fronte a una invasione illegittima, l’Occidente fin dal primo momento ha deciso di affiancare l’Ucraina mediante il sostegno economico e l’invio di armi (ma evitando ogni coinvolgimento diretto). Una volta presa questa decisione, è chiaro che non si può più tornare indietro. Altrimenti il disastro sarebbe ancora più grave, dato che Putin vanterebbe una vittoria non solo sull’Ucraina, ma sull’intero Occidente. Eppure, nei Parlamenti occidentali si continua a scambiare il voto sugli aiuti a Kiev con obiettivi politici di tutt’altra natura. Clamoroso, poi, il tema della difesa unica europea. Che in questa situazione appare uno strumento necessario per dare un segnale chiaro al leader russo. Tutti ne parlano. Ma il progetto rimane, di fatto, solo abbozzato, bloccato com’è dagli «interessi nazionali». E tenuto conto che a giugno ci saranno le elezioni europee e che poi si dovrà attendere la nuova Commissione, ogni decisione concreta ed operativa - se mai sarà presa - slitterà a dopo l’estate. Col rischio evidente di arrivare fuori tempo massimo. E confermare nella mente di Putin che l’Europa è debole e divisa. E perciò attaccabile.
In secondo luogo, la condanna occidentale all’attacco russo si è appellata fin da subito al diritto internazionale. Ma diventa difficile sostenere questa posizione se poi, di fronte a quanto accade a Gaza (nella chiara condanna di Hamas), gli alleati di Israele non hanno la forza di fermare il massacro. La credibilità dell’Occidente ne viene gravemente indebolita. Il risultato è evidente: due anni fa si era sperato di isolare la Russia. Economicamente e politicamente. Ma oggi le cose stanno diversamente. Putin è tutt’altro che isolato. Nel corso dei mesi, proprio sfruttando le incertezze occidentali, il Cremlino si è abilmente mosso sul piano diplomatico riuscendo ad allargare il fronte anti-occidentale. Segno evidente che qualcosa non va nella strategia adottata da Usa e Ue.
In terzo luogo, aldilà del sostegno all’autodifesa Ucraina, da parte occidentale non c’è stato alcun tentativo di iniziativa diplomatica. Anzi, per diversi mesi, molti si sono cullati nell’idea di una “vittoria” che, oltre al Donbass e le altre aree occupate, avrebbe liberato anche la Crimea. Una mancanza di lucidità che ha fatto perdere tempo prezioso. Ma che soprattutto rivela la difficoltà a leggere la complessità dei problemi: nel mondo in cui viviamo, invece di farsi prendere dalla retorica della “vittoria” (la stessa di Putin), occorre lavorare per trovare soluzioni capaci di sminare, in una logica diplomatica e multilaterale, i vari teatri di crisi da cui sprigionano i veleni che avveleno il mondo. Oltre all’Ucraina e alla Palestina, si pensi a Taiwan e alla Transnistria. È questa la via difficile da battere per costruire davvero la pace.
Nella spirale di rivalsa e risentimento in cui è imprigionato, Putin sfrutta ogni occasione per sviluppare le proprie ambizioni. Fallita la guerra lampo, l’allargamento del conflitto è nel suo interesse perché, oltre a distrarre l’attenzione dall’Ucraina, Putin in questo modo ridefinisce alleanze e rapporti di forza a livello internazionale. Si può e si deve essere d’accordo nel condannare l’attacco russo. Ma ciò non basta. Lo insegna la storia: per fermare i disegni funesti di leader avvitatati nel proprio narcisismo patologico, serve una risposta ferma e decisa. Sostenuta, però, da una visione politica incardinata nel senso profondo del diritto internazionale. E accompagnata da una capacità di iniziativa diplomatica che abbia la sincera intenzione di fermare il conflitto. Rassegnarsi alla guerra è aver già perso.