Auguri di buon lavoro al dottor Raffaele Cantone e ai suoi quattro colleghi di freschissima nomina, da ieri plenipotenziari sia per il controllo degli appalti sia per la prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione. Auguri interessati, ovviamente: il loro successo non potrà che essere finalmente una boccata d’ossigeno per un Paese, il nostro, da troppi anni asfissiato dai fumi che salgono dai pentoloni dove ribolle il brodo della disonestà, della connivenza, degli abusi di potere e di denaro.Già, perché in realtà l’inclusione dell’«Autorità di vigilanza sui contratti e i servizi pubblici» nell’«Autorità nazionale anti-corruzione» è lo sbocco logico di una vicenda triste che non comincia certo ieri, con le inchieste sull’Expo di Milano e sul Mose di Venezia. No. È la storia di un lungo fallimento, di una costante discesa agli inferi della moralità pubblica e della coscienza civile. A giudicare dalla frequenza degli scandali che esplodono in Italia quando ci sono di mezzo piccole e grandi opere pubbliche con relativi appalti, infatti, è evidente che l’Autorità preposta a vigilare e a segnalare (la cui prima struttura risale al 1994) non faceva né l’una né l’altra cosa. O, almeno, non lo faceva con l’indispensabile e affilata efficacia. E ciò, beninteso, non necessariamente per sue responsabilità. Più volte si è detto, a proposito di questa e di altre analoghe autorità indipendenti (come lo stesso Alto commissariato per la lotta alla corruzione, che dopo sorti alterne e non sempre edificanti è stato trasformato nell’organismo oggi presieduto da Cantone), che le si mandava in guerra con armi scariche o con le polveri bagnate.Ora, con il decreto varato ieri dal Consiglio dei ministri, dovrebbe arrivare la svolta: un solo centro anti-corruzione e di vigilanza sui lavori pubblici, con poteri più incisivi nella fase di verifica e in quella sanzionatoria, compreso quello di commissariare gli appalti sospetti. Tuttavia sarà bene tenere sempre a mente che la vittoria su questo fronte, in cui tutti gli italiani onesti sperano, resterà sempre e comunque figlia di una sconfitta. Anzi, di diverse sconfitte: quella della politica, che non arriva mai "prima", chiude sempre la stalla quando i buoi sono scappati, mostra quasi una fisiologica necessità a farsi commissariare perché da sola non sa controllarsi; quella di una classe imprenditoriale (non tutta, ma nemmeno una parte così piccola) incapace di affermarsi per merito, di offrire il lavoro migliore al prezzo più conveniente, di guadagnare il giusto, di non farsi tentare dalle scorciatoie illegali; quella di un apparato burocratico-amministrativo mostruoso e pervasivo, le cui opacità nascondono i movimenti di chi vuole lucrare sul suo potere grigio.Tutte considerazioni che resterebbero in piedi anche se domani cadessero, uno dopo l’altro, i sospetti e le accuse relativi agli appalti per l’Expo e per il Mose (e per il G8, la ricostruzione post-terremoto dell’Aquila, le varie "Sanitopoli"...). Perché una classe dirigente degna e trasparente - politica, imprenditoriale, amministrativa - dovrebbe essere in grado di sembrare pulita, oltre che di esserlo effettivamente. Dovrebbe respingere e isolare i tentativi dei mascalzoni, che non mancheranno mai. Dovrebbe far apparire, se non incredibili, quanto meno inverosimili i racconti del "pentito" di turno (in genere "pentito" perché "pizzicato") anche agli occhi del procuratore più amante delle manette e della notorietà. Il guaio è che spesso le accuse, oltre che suonare verosimili, risultano vere. E non potrà essere soltanto un’Autorità, per quanto capace e dotata di "super-poteri" - lo ha detto ieri con chiarezza lo stesso Cantone - a soffiare via una volta per tutte il vapore nauseante dei pentoloni del malaffare. L’altra parte, la più grande, del fiato e dei muscoli dell’anti-corruzione, cioè dell’onestà, siamo noi.